CASA / L’Italia da lontano / Carlo Massarelli, un fandango tra Puglia e Messico

(questo articolo è stato pubblicato su Blogfoolk, 13 aprile 2020)

Nel 1519 fu Hernán Cortés a darle il suo nuovo nome, Veracruz, e a fare del suo porto naturale un crocevia della storia. Da qui, negli anni a seguire, sarebbero passati ori diretti in Europa e uomini e donne africani resi chiavi. Ma se spade e catene hanno scritto il primo suono di questa città incastonata nel Golfo del Messico, il tempo ha saputo adattarne le tracce. Farne una musica, il “son jarocho”, che richiama Spagna, Africa e le antiche memorie indigene locali in un ritmo che è di catarsi e di gioia. Una “lingua franca” da potersi passare in prestito di viaggiatore in viaggiatore, oltre ogni provenienza e direzione: così, cinquecento anni dopo l’inizio di questa storia, il son jarocho è anche la traccia del viaggio di Carlo Massarelli, italiano cresciuto a Sava, in provincia di Taranto, formatosi a Torino, da alcuni anni residente a San Cristobal de Las Casas, rinomata cittadina turistica dello Stato del Chiapas, a sette ore d’auto da Veracruz. «Il son jarocho è un genere unico e straordinario della musica popolare – spiega Carlo – che è alla base di molti pezzi messicani ed è stato esportato anche all’estero. Conosciamo certamente tutti “La Bamba” di Los Lobos: è anche questo un omaggio al son jarocho. Personalmente, anche dato il mio background, lo definirei la pizzica pizzica del Messico, perché tra le varie musiche popolari è una delle più semplici, ma allo stesso tempo tra le più coinvolgenti. Ricordo ancora l’emozione della prima volta in cui mi sono trovato in un “fandango”, una sorta di ronda in cui al posto del tamburello il ritmo è battuto dalle jaranas, le tipiche chitarre del son jarocho: mi sono sentito in Puglia, in uno di quei piccoli paesi del brindisino come Villa Castelli, dove tutti si conoscono e ancora suonano ereditando l’abilità di generazione in generazione, oppure nella magia della notte di San Rocco a Torre Paduli».

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CASA / L’Italia da lontano / “Tarantella dell’emigrante”, da “Songs from the Homeland” di Salvatore Rossano e Santa Taranta

(questo articolo è stato pubblicato su Blogfoolk, 26 febbraio 2020)

«Lu mondë è troppo duro, io qui non c’ho futuro, mi han detto che in Australia la terra è bella. Si mangia e si lavora, i soldi sono buoni, e forse io qui mi sposo una paesana». Un classico del viaggio Oltreoceano nei più classici tra i versi cantati sulla banchina di un porto, o sui minuscoli letti a castello della terza classe per dimenticare il mal di mare. Ma questa “Tarantella dell’emigrante” nasconde in realtà una storia diversa. Le sue origini non si perdono nel gorgo del tempo, l’autore non è un vecchio bracciante con la pelle arsa dal sole, ma un expat degli anni Duemila. Che, pure, ha consumato le suole delle scarpe tra campi, contrade e piccoli paesi, ma con un registratore in mano al posto della vanga. E che attraverso le vite degli altri canta anche la propria.

Lui, Salvatore Rossano, etnomusicologo, dalle ricerche portate avanti tra Europa, Sud America e, oggi, Australia ha tratto pubblicazioni scientifiche ma anche il suo repertorio da musicista. Così è nato “Sonu. Songs from the Homeland” (2019), l’ultimo lavoro firmato da Santa Taranta, la band con base a Melbourne che omaggia chiaramente nel nome le origini salentine del fondatore (cantante e fisarmonicista del gruppo), ma che comprende anche la linguista australiana Hayley Egan (voce) e altri musicisti, chi di ascendenza calabrese, chi argentino.

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Rim Junior 2020, il “Racconto degli italiani nel mondo” passa anche dai nuovi italiani

(questo articolo è stato pubblicato su Immezcla.it, 25 novembre 2020)

«Scavalcando recinzioni puoi raggiungere i tuoi sogni / Devi abbattere quei muri se vuoi costruire ponti / Le parole quelle giuste che non lasciano ferite / Come cure per lottare e migliorare queste vite». Sono i versi del rapper Amir Issaa a fare da portavoce del RIM Junior 2020 della Fondazione Migrantes (Tau Editrice) presentato questa mattina al Festival delle migrazioni. Un volume, scritto da Daniela Maniscalco, pensato per parlare della mobilità italiana ai più giovani, con l’obiettivo di accrescere il loro bagaglio di conoscenze sull’argomento ma anche – forse soprattutto – come strumento di riflessione sul tema più ampio dell’incontro tra culture.

«Non un “rapporto” (come indurrebbe a pensare il prestito della sigla dal RIM originale), ma un “Racconto degli italiani nel mondo”, un viaggio sulle orme di chi è partito ieri e di chi parte oggi, tra concetti essenziali e storie di vita che danno un nome e un volto alla teoria. E però – è questa la specificità del Rim Junior – l’itinerario attraversa anche il Paese abitato dai “nuovi italiani”, che con gli italiani di nascita condividono una lunga storia di migrazione».

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“Ondalunga”, un podcast per raccontare l’Università del Salento ai ragazzi del Mediterraneo

(questo articolo è stato pubblicato su Immezcla.it, 17 novembre 2020)

Nei giorni di cielo terso, aguzzando lo sguardo e con un po’ di fortuna, da qualche punto della costa salentina si scorgono i profili di Fanò e Corfù, le isole greche più vicine alla Puglia. Ma affacciandosi da una qualunque scogliera da Otranto in giù, è ben più facile individuare le montagne albanesi, che svettano a poco più di 90 chilometri in linea d’aria oltre la lingua dell’Adriatico. Talmente vicine, e ingrandite ulteriormente dall’effetto ottico della “Fata Morgana” per la brevità del tratto di mare, che quasi si stenta a credere che quella sequenza di punte bianche sia la catena dei Monti Cerauni e non, piuttosto, una teoria di nuvole che si eleva dall’orizzonte. Per anni, però, tra i bagnanti salentini la vulgata mainstream voleva che a ergersi a un palmo di naso fossero le coste greche, e solo da pochi anni si è diffusa la consapevolezza che si tratta di quelle albanesi. Certo avranno concorso alla confusione le frequenze radio impazzite e, più di recente, i cellulari che già a Tricase o Andrano danno un caloroso benvenuto in Grecia. Ma, forse, a confondere è anche una sorta di eredità culturale, un grande equivoco tramandato per generazioni, che tendeva a identificare l’Albania – questo Paese misterioso, chiuso in se stesso da una dittatura autarchica – con un luogo remoto.

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Camelia Jordana, il premio Cesar volto del Black lives matter l’Oltralpe: «La Francia ha ancora bisogno di un lungo lavoro di decolonizzazione»

(questa intervista è apparsa su Immezcla.it, 21 settembre 2020)

«A scuola studiavo la Rivoluzione del 1789 e il potere di un popolo di tagliare la testa di un re, ma il mio libro di storia non parlava della guerra in Algeria. Non avevo gli strumenti per capire perché venivo da una cultura diversa, così come i miei compagni non capivano perché non ci assomigliavamo. La Francia ha ancora bisogno di un lungo lavoro di decolonizzazione». Camelia Jordana ha sempre il sorriso sulle labbra, un timbro di una dolcezza inconfondibile – del resto deve in parte alla sua voce la sua carriera d’artista, cominciata come cantante una decina d’anni fa – ma le sue parole sono chirurgiche. Sulla terrazza di un piccolo albergo nel centro storico di Lecce, uno Spritz messo da parte a beneficio dell’intervista, riconosciamo facilmente nella ragazza di 27 anni che siede davanti a noi il carattere del personaggio che si è affermato in Francia riuscendo a cucire il volto della cantante pop e dell’attrice in ascesa – premio Cesar come migliore promessa femminile nel 2018 – con l’impegno sociale che ne fanno una delle principali portavoce “locali” del movimento del Black lives matter. La scorsa settimana Jordana è stata ospite di Vive le cinéma, festival promosso da Apulia Film Commission e Regione Puglia che porta nel Sud Italia, a Lecce, una selezione di anteprime nazionali del cinema francese, e con questa anche lo “stato dell’arte” del dibattito sui principali temi d’attualità d’Oltralpe.

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«La nostalgia, risorsa per un nuovo futuro del Sud». Intervista a Vito Teti

(questo articolo è apparso con un altro titolo su Nuovo Quotidiano di Puglia il 18 dicembre 2020)

Non tutti i mali vengono per nuocere, si direbbe a leggere “Nostalgia. Antropologia di un sentimento del presente” (Marietti Editore 2020), l’ultimo libro di Vito Teti, antropologo culturale, docente di antropologia culturale all’Università della Calabria, pilastro della teoria della “restanza”, da sempre attento osservatore del mondo dell’entroterra e dei piccoli paesi sull’orlo dell’abbandono. Un sentimento non certo piacevole, da sempre scacciato per l’aura di cupezza che porta con sé, addirittura medicalizzato, che lo studioso trova al contrario prezioso e generativo al tempo della pandemia che mette in discussione le certezze della contemporaneità, delle migrazioni e dei “legami liquidi”, per citare Bauman. Della complessità della nostalgia e delle risorse che possiamo trarne per far rinascere i territori Teti ha parlato ieri sera, nell’incontro online promosso dal progetto “A scuola per restare” dell’associazione salentina La scatola di Latta.

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TRENT’ANNI DOPO RAGAZZI DI PIAZZA. CHE COSA RESTA DEL SALENTO DI PIER VITTORIO TONDELLI. Sesta parte/2016

«Venerdì 2 settembre (ore 21 – ingresso 30 euro – prevendite nei circuiti Ticketone, Livenation e Bookingshow) l’Arena Masseria Ospitale sulla Lecce Torre Chianca ospita la prima delle cinque tappe (unica al Sud) del tour italiano del cantante giamaicano Damian Marley, conosciuto in tutto il mondo come “Junior Gong”. L’evento, organizzato da High Grade, Molly Arts e Coolclub, sarà arricchito dal live d’apertura dei Sud Sound System, ambasciatori del reggae italiano che hanno festeggiato 25 anni di storia con un tour in Giamaica (…) Disponibile anche il servizio navetta da Lecce (partenza dal Foro Boario) da Bari e dal resto d’Italia».

Per primi ci abbagliano i fari. Fendono il cielo segnando un “otto-infinito” come spade di una vittoria che c’è stata. Il tempo presente della musica del Pianeta, oggi, batte sulla terra rossa di una masseria alle porte di Lecce. Venerdì 2 settembre, 2016. L’estate di questo Salento non si darà commiato senza prima assicurarsi a una propaggine della Storia.

Una marea sterminata di auto incrostate di Jonio e di Adriatico traccia la strada verso il nostro appuntamento. Impieghiamo venti minuti per raggiungere l’ingresso dell’arena, fino al limite estremo del viaggio consentito. La soglia, dove è il vasto pubblico altro di questo concerto. Quello che non entrerà. Ballerà qui, sulla sterpaglia, tra le piante di cappero e di rosmarino che odorano di campagna, birra e urina.

Tutti i biglietti esauriti. Per un numero imprecisato di ragazzi in vacanza, l’unica festa possibile è fuori, al margine della festa, a lato del palco, negli anfratti lasciati liberi dalla marea di corpi venuti ad occupare questo tempio meridiano del desiderio, dalla provincia, «da Bari e da ogni parte d’Italia».

Salento, sold out, un’altra volta. I fari del palco infuocano il cielo.

Un ragazzo con gli occhiali accenna un sorriso e mette un punto sul suo taccuino.

Lo aveva già scritto nel 1986. L’impressione, dopo qualche notte perennemente scarrozzati tra il Salento e la Grecia, è di una vita on the road consumata in pub, discoteche e bagni notturni fra l’Adriatico e lo Jonio, sotto un grande cielo meridionale sfavillante in ogni sua luce.

In quel territorio di mezzo tra l’inesistenza e il brand, aveva battuto la via del tempo a venire. Altri si sarebbero fermati ancora per anni – dieci, quindici, chissà – nell’indugio di una fissità barocca.

Il ragazzo dell”86 scorse l’innesco maneggiato dai suoi compagni di viaggio. Forse sfuggito di mano a quei Ragazzi di piazza.

Trent’anni più tardi, un treno sta per ripartire dalla stazione di Lecce. Una sospensione irreale circonda i binari all’ora del nostro arrivo. Niente trolley, né sacche, né ciabatte, né souvenir, né i rispettivi portatori. Il set di uno spot pubblicitario in dismissione.

Andati via già tutti, non ancora arrivati. Come inghiottiti da un riverbero di luce abbacinante.

Un riflesso attraversa il volto di Pier al di là di un finestrino chiuso. Il treno si allontana. Le rotaie involvono su se stesse. Le pagine del mio taccuino si fanno bianche.

In ordine di citazione:

Big Time/Coolclub,Venerdì 2 settembre – Damian Marley a Lecce con Sud Sound System, Gappy Ranks e Pakkia Crew (comunicato stampa), 31 agosto 2016

P.V. TONDELLI, Ragazzi di piazza, «L’Espresso», 14 settembre 1986, ora in Opere. Cronache, saggi, conversazioni, a cura di F. PANZERI, Milano, Bompiani, 2001, pp. 251.254.

(Fotografie di Daniele Coricciati)

TRENT’ANNI DOPO RAGAZZI DI PIAZZA. CHE COSA RESTA DEL SALENTO DI PIER VITTORIO TONDELLI. Quinta parte/Quei ragazzi di piazza

«TRICASE – Massimo Urbani è uno dei pochi personaggi della scena jazz italiana che sia riuscito a ritagliarsi un proprio spazio stilistico, una spanna al di sopra di musicisti, magari validissimi sotto il profilo tecnico, ma privi di grande personalità. Il concerto di giovedì scorso, tenuto nella discoteca “Tam Tam” di Tricase ed inserito nella rassegna “Primavera jazz”, ha confermato in pieno la sua statura di solista e di personaggio di punta del panorama italiano». Continua

Carlo Croccolo: «Totò maestro severo e inimitabile»

(Questo articolo è stato pubblicato con un altro titolo su Nuovo Quotidiano di Puglia, aprile 2017)

Carlo Croccolo: «Totò maestro severo e inimitabile»

«Consigli a chi comincia oggi? Gli direi di lasciar perdere. Nessun sostegno dai Governi a spettacolo e cultura»

È iniziata con un omaggio alla storia del cinema italiano la diciottesima edizione del Festival del cinema europeo, la manifestazione che per una settimana porta l’Europa sugli schermi del Multisala Massimo di Lecce. Ieri sera davanti a una sala gremita le proiezioni sono state inaugurate dalla consegna dell’Ulivo d’oro alla carriera, simbolo delle radici di Puglia, a una delle “radici” del cinema italiano, Carlo Croccolo, attore teatrale e cinematografico, storico partner di Totò in film memorabili come “Miseria e nobiltà” e “Signori si nasce” e anche suo doppiatore. Continua

Salentitudini Tondelliane. Quinta parte: quei ragazzi di piazza

Trent’anni dopo Ragazzi di piazza. Che cos’è diventato il Salento di Tondelli

QUINTA PARTE / Quei ragazzi di piazza

«TRICASE – Massimo Urbani è uno dei pochi personaggi della scena jazz italiana che sia riuscito a ritagliarsi un proprio spazio stilistico, una spanna al di sopra di musicisti, magari validissimi sotto il profilo tecnico, ma privi di grande personalità. Il concerto di giovedì scorso, tenuto nella discoteca “Tam Tam” di Tricase ed inserito nella rassegna “Primavera jazz”, ha confermato in pieno la sua statura di solista e di personaggio di punta del panorama italiano».

Il testo completo su NAZIONE INDIANA. Continua