Contro il male del pregiudizio “Leggere attentamente il foglietto illustrativo”

(Questo articolo è stato pubblicato con un altro titolo su Nuovo Quotidiano di Puglia il 26 gennaio 2022)

Chi si ferma alla copertina potrebbe essere tratto in inganno dal titolo e dalla grande pillola bicolor proprio al centro della pagina, che rendono il libro simile a quei raccoglitori con le schede di terapia che non mancano mai nelle case di cura. Ma “Leggere attentamente il foglietto illustrativo” è, letteralmente, un invito all’attenzione, una sfida a superare gli stereotipi e a unirsi a una straordinaria avventura. Dentro le pagine del libro d’arte a cura di Giorgio Di Palma vive infatti un piccolo mondo speciale, quello della Casa per la vita Artemide di Racale, in provincia di Lecce. Una struttura residenziale per pazienti psichiatrici che sin dalla fondazione si è contraddistinta per i suoi progetti che uniscono creatività, relazione e lotta allo stigma sotto la guida di Walter Spennato, coordinatore della Casa con un background di sociologo e scrittore.

Dal 2017 hanno varcato le soglie di Artemide musicisti, cantanti, pittori, scultori, illustratori, scrittori, coinvolti in incontri e laboratori dedicati ai diciotto ospiti del centro, ma aperti anche ai non addetti ai lavori, nell’obiettivo duplice di creare percorsi che supportino i pazienti nella ricerca delle proprie risorse interiori e al contempo occasioni di incontro e conoscenza trasversali, superando il confine invisibile tra dentro e fuori che ancora ingabbia i mondi della cura psichiatrica nonostante le porte di queste strutture siano aperte da un pezzo.

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Castelli di Puglia, una fiaba contemporanea

(Questo articolo è stato pubblicato con un altro titolo su Nuovo Quotidiano di Puglia il 18 gennaio 2021)

C’era una volta un principe che abitava in un castello troppo grande…” Potrebbe cominciare così la storia che raccontiamo. Una fiaba tutta contemporanea, in cui i protagonisti sono davvero, in molti casi, principi e principesse, conti, baroni e altri personaggi di nobile discendenza, ma senza traccia di battaglie all’ultimo sangue o scarpette ritrovate. In queste dimore d’epoca nel ventunesimo secolo le sfide che si consumano sono piuttosto di tipo imprenditoriale, e i matrimoni da favola sono quelli degli altri. Anche in Puglia castelli, masserie, ville e tenute da diversi anni vengono reinterpretati e restituiti a nuova vita. Dal Gargano al Capo di Leuca sono circa ottanta i palazzi inseriti nella rete dell’associazione Assocastelli, nata con lo scopo di unire tutela e valorizzazione di dimore storiche vocate al business. I soci comprendono “imprenditori di nascita” interessati a investire nel settore dell’accoglienza luxury, ma anche discendenti ed eredi di famiglie titolate, ormai lontani dai privilegi di un tempo, che coprono le spese di gestione di questi immensi edifici aprendoli ad eventi, matrimoni e produzioni cinematografiche.

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Alla scoperta del lunedì nella provincia leccese

Un’iniziativa civico-culturale dell’associazione La scatola di latta dà appuntamento nei paesi per ritrovare un rapporto autentico con il territorio, oltre la “vetrinizzazione” dei luoghi

(Questo articolo è stato pubblicato con il titolo “Metti una sera d’inverno alla scoperta della provincia (lontano da eventi e turisti) su Nuovo Quotidiano di Puglia il 22 dicembre 2021

di Giorgia Salicandro

Giorgia Salicandro

Alle otto di sera a Ruffano non si muove una foglia. Provoca un certo spaesamento ritrovarsi nel piccolo centro del basso Salento così legato, nell’immaginario collettivo, alle ronde della vicina Torrepaduli, senza una traccia del fragore dei tamburelli battuti per San Rocco e per le comitive di turisti “pizzicati”. Ma questa non è una calda serata agostana, è un ventoso lunedì di novembre e non ci sono feste in programma. I paesi “del lunedì” non hanno palchi ad animare le piazze, né cassarmoniche a presentarle tirate a lustro o sagre che invitano con il profumo delle braci. È, semplicemente, un giorno della settimana – per di più il primo – nella provincia salentina, che nella stagione fredda torna al suo originario carattere di periferia geografica dove “tutto è lontano”, compreso il capoluogo barocco. Eppure, il gruppo di oltre cinquanta persone che ha deciso di ritrovarsi sul posto non sembra dare importanza alla questione. Non “fruiscono”- non nel senso turistico del termine – non degustano – a limite un aperitivo al bar, se a quell’ora è ancora aperto – non seguono una guida, ma il passaparola di chi conosce il paese. Missione: andare a scoprire “cosa accade la sera nella provincia leccese”. È proprio questo il nome del progetto dell’associazione La scatola di latta, l’ultimo in ordine di tempo di una esuberante galleria di iniziative che si collocano a metà strada tra attività culturale, appuntamento sociale e pratica di cittadinanza attiva.

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Bach is Back

(Questo testo è stato scritto per il libretto dell’opera “Bach is back” ideata da Redi Hasa, con gli arrangiamenti di Ekland Hasa, testi e cura del progetto di Giorgia Salicandro; la foto è di Fabrizio Lecce. Il documentario “Bach is Back è visibile QUI)

Abbarbicati gli uni agli altri tra pieghe di marmo, santi dallo sguardo latteo e putti con le ali spiegate da secoli accolgono il riverbero di una nota di violoncello. La navata a forma di ellissi, gli altari laterali da cui fioriscono fiori immobili. Tra cappella e cappella, un apostolo affacciato da una parasta come dalla soglia di un altro universo. Sulle rispettive pale d’altare, sant’Agata, sant’Anna, la Madonna della Luce quasi in attesa di entrare da una finestra sigillata sul cielo. Dall’altare maggiore San Matteo sorveglia la scena che si staglia nella settecentesca chiesa leccese a lui dedicata. Non è un rito sacro quello che sta per risuonare tra queste mura, eppure è facile cadere nella tentazione di confondersi…
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Buon viaggio Cecilia Mangini, pioniera del cinema del reale

Si è spenta a Roma all’età di 93 anni. Con la Puglia, e in particolare con il Salento, intratteneva un rapporto privilegiato, non solo biografico, ma segnato nelle memorabili immagini di alcuni suoi film e coltivato, negli ultimi anni, grazie a una meritevole opera di riscoperta del suo lavoro.

(Questo articolo è apparso con un altro titolo su Nuovo Quotidiano di Puglia, 23 gennaio 2020. La foto di Cecilia Mangini è di Joana Ferreira; la ritrae nei giorni della sua ultima visita in Salento, per la Festa di Cinema del reale)

Ha attraversato quasi un secolo di storia, testimone “in presa diretta” della società del Novecento e dei grandi cambi di paradigma che hanno fatto epoca. Aveva 93 anni, Cecilia Mangini, per tutta la vita ha raccontato la realtà dietro un obiettivo, prima con la fotografia, poi con il cinema documentario: era stata la prima donna a rivendicare un posto in quel mondo nel secondo dopoguerra. Infine, negli ultimi anni, tornando a lavorare sulla sterminata mole delle sue opere, anche inedite. Si è spenta giovedì scorso a Roma. Il suo infaticabile impegno, da lei vissuto come un’autentica militanza – in comunione di vita e d’intenti con il marito, il documentarista Lino Del Fra- fanno di lei uno pilastri del cinema del reale in Italia. «Oggi la tensione verso la realtà è più che mai indispensabile» aveva detto in una nostra intervista. Continua

CASA / L’Italia da lontano / Carlo Massarelli, un fandango tra Puglia e Messico

(questo articolo è stato pubblicato su Blogfoolk, 13 aprile 2020)

Nel 1519 fu Hernán Cortés a darle il suo nuovo nome, Veracruz, e a fare del suo porto naturale un crocevia della storia. Da qui, negli anni a seguire, sarebbero passati ori diretti in Europa e uomini e donne africani resi chiavi. Ma se spade e catene hanno scritto il primo suono di questa città incastonata nel Golfo del Messico, il tempo ha saputo adattarne le tracce. Farne una musica, il “son jarocho”, che richiama Spagna, Africa e le antiche memorie indigene locali in un ritmo che è di catarsi e di gioia. Una “lingua franca” da potersi passare in prestito di viaggiatore in viaggiatore, oltre ogni provenienza e direzione: così, cinquecento anni dopo l’inizio di questa storia, il son jarocho è anche la traccia del viaggio di Carlo Massarelli, italiano cresciuto a Sava, in provincia di Taranto, formatosi a Torino, da alcuni anni residente a San Cristobal de Las Casas, rinomata cittadina turistica dello Stato del Chiapas, a sette ore d’auto da Veracruz. «Il son jarocho è un genere unico e straordinario della musica popolare – spiega Carlo – che è alla base di molti pezzi messicani ed è stato esportato anche all’estero. Conosciamo certamente tutti “La Bamba” di Los Lobos: è anche questo un omaggio al son jarocho. Personalmente, anche dato il mio background, lo definirei la pizzica pizzica del Messico, perché tra le varie musiche popolari è una delle più semplici, ma allo stesso tempo tra le più coinvolgenti. Ricordo ancora l’emozione della prima volta in cui mi sono trovato in un “fandango”, una sorta di ronda in cui al posto del tamburello il ritmo è battuto dalle jaranas, le tipiche chitarre del son jarocho: mi sono sentito in Puglia, in uno di quei piccoli paesi del brindisino come Villa Castelli, dove tutti si conoscono e ancora suonano ereditando l’abilità di generazione in generazione, oppure nella magia della notte di San Rocco a Torre Paduli».

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CASA / L’Italia da lontano / “Tarantella dell’emigrante”, da “Songs from the Homeland” di Salvatore Rossano e Santa Taranta

(questo articolo è stato pubblicato su Blogfoolk, 26 febbraio 2020)

«Lu mondë è troppo duro, io qui non c’ho futuro, mi han detto che in Australia la terra è bella. Si mangia e si lavora, i soldi sono buoni, e forse io qui mi sposo una paesana». Un classico del viaggio Oltreoceano nei più classici tra i versi cantati sulla banchina di un porto, o sui minuscoli letti a castello della terza classe per dimenticare il mal di mare. Ma questa “Tarantella dell’emigrante” nasconde in realtà una storia diversa. Le sue origini non si perdono nel gorgo del tempo, l’autore non è un vecchio bracciante con la pelle arsa dal sole, ma un expat degli anni Duemila. Che, pure, ha consumato le suole delle scarpe tra campi, contrade e piccoli paesi, ma con un registratore in mano al posto della vanga. E che attraverso le vite degli altri canta anche la propria.

Lui, Salvatore Rossano, etnomusicologo, dalle ricerche portate avanti tra Europa, Sud America e, oggi, Australia ha tratto pubblicazioni scientifiche ma anche il suo repertorio da musicista. Così è nato “Sonu. Songs from the Homeland” (2019), l’ultimo lavoro firmato da Santa Taranta, la band con base a Melbourne che omaggia chiaramente nel nome le origini salentine del fondatore (cantante e fisarmonicista del gruppo), ma che comprende anche la linguista australiana Hayley Egan (voce) e altri musicisti, chi di ascendenza calabrese, chi argentino.

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Rim Junior 2020, il “Racconto degli italiani nel mondo” passa anche dai nuovi italiani

(questo articolo è stato pubblicato su Immezcla.it, 25 novembre 2020)

«Scavalcando recinzioni puoi raggiungere i tuoi sogni / Devi abbattere quei muri se vuoi costruire ponti / Le parole quelle giuste che non lasciano ferite / Come cure per lottare e migliorare queste vite». Sono i versi del rapper Amir Issaa a fare da portavoce del RIM Junior 2020 della Fondazione Migrantes (Tau Editrice) presentato questa mattina al Festival delle migrazioni. Un volume, scritto da Daniela Maniscalco, pensato per parlare della mobilità italiana ai più giovani, con l’obiettivo di accrescere il loro bagaglio di conoscenze sull’argomento ma anche – forse soprattutto – come strumento di riflessione sul tema più ampio dell’incontro tra culture.

«Non un “rapporto” (come indurrebbe a pensare il prestito della sigla dal RIM originale), ma un “Racconto degli italiani nel mondo”, un viaggio sulle orme di chi è partito ieri e di chi parte oggi, tra concetti essenziali e storie di vita che danno un nome e un volto alla teoria. E però – è questa la specificità del Rim Junior – l’itinerario attraversa anche il Paese abitato dai “nuovi italiani”, che con gli italiani di nascita condividono una lunga storia di migrazione».

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“Ondalunga”, un podcast per raccontare l’Università del Salento ai ragazzi del Mediterraneo

(questo articolo è stato pubblicato su Immezcla.it, 17 novembre 2020)

Nei giorni di cielo terso, aguzzando lo sguardo e con un po’ di fortuna, da qualche punto della costa salentina si scorgono i profili di Fanò e Corfù, le isole greche più vicine alla Puglia. Ma affacciandosi da una qualunque scogliera da Otranto in giù, è ben più facile individuare le montagne albanesi, che svettano a poco più di 90 chilometri in linea d’aria oltre la lingua dell’Adriatico. Talmente vicine, e ingrandite ulteriormente dall’effetto ottico della “Fata Morgana” per la brevità del tratto di mare, che quasi si stenta a credere che quella sequenza di punte bianche sia la catena dei Monti Cerauni e non, piuttosto, una teoria di nuvole che si eleva dall’orizzonte. Per anni, però, tra i bagnanti salentini la vulgata mainstream voleva che a ergersi a un palmo di naso fossero le coste greche, e solo da pochi anni si è diffusa la consapevolezza che si tratta di quelle albanesi. Certo avranno concorso alla confusione le frequenze radio impazzite e, più di recente, i cellulari che già a Tricase o Andrano danno un caloroso benvenuto in Grecia. Ma, forse, a confondere è anche una sorta di eredità culturale, un grande equivoco tramandato per generazioni, che tendeva a identificare l’Albania – questo Paese misterioso, chiuso in se stesso da una dittatura autarchica – con un luogo remoto.

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Camelia Jordana, il premio Cesar volto del Black lives matter l’Oltralpe: «La Francia ha ancora bisogno di un lungo lavoro di decolonizzazione»

(questa intervista è apparsa su Immezcla.it, 21 settembre 2020)

«A scuola studiavo la Rivoluzione del 1789 e il potere di un popolo di tagliare la testa di un re, ma il mio libro di storia non parlava della guerra in Algeria. Non avevo gli strumenti per capire perché venivo da una cultura diversa, così come i miei compagni non capivano perché non ci assomigliavamo. La Francia ha ancora bisogno di un lungo lavoro di decolonizzazione». Camelia Jordana ha sempre il sorriso sulle labbra, un timbro di una dolcezza inconfondibile – del resto deve in parte alla sua voce la sua carriera d’artista, cominciata come cantante una decina d’anni fa – ma le sue parole sono chirurgiche. Sulla terrazza di un piccolo albergo nel centro storico di Lecce, uno Spritz messo da parte a beneficio dell’intervista, riconosciamo facilmente nella ragazza di 27 anni che siede davanti a noi il carattere del personaggio che si è affermato in Francia riuscendo a cucire il volto della cantante pop e dell’attrice in ascesa – premio Cesar come migliore promessa femminile nel 2018 – con l’impegno sociale che ne fanno una delle principali portavoce “locali” del movimento del Black lives matter. La scorsa settimana Jordana è stata ospite di Vive le cinéma, festival promosso da Apulia Film Commission e Regione Puglia che porta nel Sud Italia, a Lecce, una selezione di anteprime nazionali del cinema francese, e con questa anche lo “stato dell’arte” del dibattito sui principali temi d’attualità d’Oltralpe.

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