Buen retiro o business, destinazione Salento

(Questi articoli sono stati pubblicati con altri titoli su Nuovo Quotidiano di Puglia, novembre 2016)

Il mondo nel Salento/1

Import-export e compravendite immobiliari danno lavoro agli occidentali del Nord approdati in Puglia. Ma l’apertuda di un bed and breakfast e l’affitto saltuario della camera degli ospiti sembrano essere l’attività tipica di chi arriva qui mollando tutto, con la prospettiva di una vita “slow”

In piazza Salandra, a Nardò, tavolini a raggiera intorno alla grande fontana centrale, all’ora dell’aperitivo è un fioccare di “hi!” e “how are you?”. Inglesi e qualche amico d’Oltreoceano arrivano dalle viuzze d’intorno e prendono posto al rituale lento della convivialità made in Sud, che guai a chi glielo tocca. Nel centro storico di Galatina si ritrovano nei ristoranti, sull’uscio delle botteghe artigiane, fanno combriccola persino davanti ai piccoli market resistenti alla modernità. A Lecce la comunità internazionale si dà appuntamento nei pub, ma è disseminata ovunque.

Inglesi, francesi, belgi, tedeschi: c’è chi arriva stregato da una cartolina, chi traghettato dall’amore, chi, piuttosto, seguendo le classifiche degli “estates agent” di lusso – le agenzie immobiliari che allettano i clienti su siti-vetrina. Che sia una scelta o un accidente, sta di fatto che molti finiscono essi stessi per investire e aprire attività.

Non parliamo delle comunità storiche di albanesi, cinesi o africane, ma degli occidentali del Nord che vedono nel Salento un approdo possibile per un’avventura esistenziale e lavorativa insieme. Import-export, compravendita immobiliare, i piedi ben piantati in terra salentina, il mento all’insù, alla ricerca di compatrioti a cui trasmettere l’amore per il Sud, non senza una “fee” per i “Cupidi” d’occasione, s’intende. In realtà, al netto delle iniziative imprenditoriali vere e proprie, bed and breakfast e l’affitto della camera degli ospiti sembrano essere l’attività tipica di chi arriva qui mollando tutto, lavoro in primis. La casa, allora, diventa il centro operativo della loro nuova vita.

Le imprese vere e proprie, anzi, secondo la Camera di commercio sono diminuite negli ultimi cinque anni – in linea, del resto, con il trend delle imprese italiane al tempo della crisi. Nel 2016 in provincia di Lecce sono in tutto 6166 quelle di cittadini non italiani. Di questi, 996 vengono dai Paesi della Comunità europea, 5170 da Paesi extra europei. Belgi, francesi e tedeschi, in realtà, spesso hanno cognomi leccesi, poiché figli di emigranti tornati nella “madre patria”, e lo stesso dicasi per i 1559 svizzeri.

La carica dei 580 tedeschi si dedica soprattutto al commercio (96), ma una buona parte lavora nel settore delle costruzioni (93) e della ristorazione (60). La vendita è lo zoccolo duro anche dei 148 imprenditori belgi (50), degli 84 francesi (27) e dei 37 inglesi (13). Qual era il quadro nel 2011? Le imprese comunitarie non italiane erano 1002, di cui 169 belghe, 89 francesi, 589 tedesche, 47 inglesi. Un trend inverso riguarda invece le imprese non comunitarie: nel 2011 erano 3885.

Numeri più consistenti per gli europei si muovono nel settore delle società: quelle comunitarie nel 2016 sono 1306, in cinque anni ne sono fiorite un migliaio; le altre, inclusi gli svizzeri, oggi sono 5744, nel 2011 erano 4329.

Restano gli altri. Avventurieri vari con l’obiettivo, o il miraggio, del Salento. A Nardò, spiega Antonello Rizzello, imprenditore turistico di ritorno da Parigi, 33 famiglie stanno investendo i propri risparmi in un complesso alberghiero, colpite al cuore dai palazzi nobiliari del centro e dalle ville moresche della costa. «Stanno comprando tutto – dice – e che male c’è? Nardò traboccava di palazzi stupendi completamente abbandonati, ora quelli su Lata, via Matteotti, corso Garibaldi sono restaurati. E la vita migliora per tutti».

Nigel Wilson, Manchester, arredatore d’interni a Nardò

«Con noi noi i centri storici sono tornati a popolarsi»

La prima volta è arrivato per raccontare agli inglesi la persistenza degli antichi mestieri e la qualità della luce mediterranea che al mattino fa brillare una tazza di the filtrando dalle persiane semichiuse. Poi, a furia di segnare sul taccuino i piaceri del lifestyle salentino, si è deciso a divenirne protagonista lui stesso. Ecco la storia di Nigel Wilson, originario di Manchester, giornalista del quotidiano londinese Evening Standard. Praticamente, uno dei “fondatori” di quella che oggi è la nutrita comunità internazionale di base a Nardò. «Tredici anni fa decido di trasferirmi

racconta – il primo anno mantengo l’incarico, dopo capisco di volermi dedicare interamente alla mia nuova vita. Conosco l’architetto Elio Resta e fondiamo una società, “Puglia Estates”, che si occupa di restauro di appartamenti chiavi in mano: avendo scritto molti articoli sul mercato immobiliare avevo buon un background. Gestisco le relazioni con i clienti, e sono anche diventato arredatore d’interni. Col passaparola la società è cresciuta velocemente. Il risultato? Non riguarda solo la nostra attività, ma l’intero paese: oggi qui, si può dire, c’è un piccolo Comune di inglesi, oltre ad americani, tedeschi e a tanti altri che si innamorano di questo meraviglioso Barocco».

Ma le forme irripetibili di volute e festoni in pietra non sono le uniche a “far notizia” nei racconti con cui l’ex giornalista dipinge il Salento ai suoi clienti. A parlare, per lui, è la tranquillità della piazza neretina in una mattina autunnale di pieno sole, mentre poche biciclette seguono il circolo della fontana centrale e il gruppo degli amici inglesi e americani arriva, via via, ordinando caffè, ristretto o in ghiaccio col latte di mandorla. Un’alchimia perfetta tra l’allure di un tempo fermo che affascina chi viene dal Nord, e una nuova quotidianità piacevole e frizzante, che parla più lingue.

«Piazza Salandra è il nostro appuntamento fisso, del resto tutti noi abbiamo preso casa qui vicino. Ma non ci isoliamo, anzi i nostri amici sono soprattutto italiani – commenta – quando sono arrivato qui, tredici anni fa, non era possibile neanche comprare una Cola Light, tutto era come una volta. C’erano solo anziani, ora sono tornati anche tanti giovani italiani». Merito degli stranieri? «Sono una persona umile», sorride Nigel. Di sicuro però, amette, i centri storici non se li filava nessuno prima che fossero loro a innamorarsene.

Mario Percuoco, di Sidney, imprenditore e chef a Galatina

«Qui mi sento a casa e i clienti lo sentono»

Ristoranti stellati, business in tutto il mondo, clienti da foto ricordo. La ciliegina sulla torta – rigorosamente preparata in casa – sarebbe stata tornare in patria, dove tutto era cominciato, oltre cento anni fa. E il Salento è stato l’approdo per questo nuovo esperimento made in Italy, dall’anima internazionale. “Pecuoco” è il nome del ristorante che si affaccia su piazza Orsini del Balzo, a Galatina, ed è anche il cognome di Mario, chef e proprietario dell’attività. «E probabilmente, in origine era il soprannome della mia famiglia: siamo cuochi da almeno quattro generazioni, ma forse anche più» spiega. «Io sono nato a Napoli, quando ero bambino la mia famiglia è emigrata a Sidney. Mio padre ha aperto lì i primi ristoranti, poi io ho aperto il mio, “Zenet”, stellato Michelin come i suoi. Ne ho avviati altri e ho lavorato come consulente a Singapore. Ma il mio sogno era di tornare alla vecchia storia di mio nonno qui in Italia. Perché il Salento? Ci sono venuto in vacanza con la mia famiglia, attratto da ciò che si diceva su questa “Firenze del Sud”. Galatina ci sembrava una piccola Lecce, era un buon posto per farne la nostra base. Dopo è venuto anche il ristorante».

Nel 2016 il “Pecuoco” inaugura la sua attività in piazza Orsini. Sarà stato l’amore, sarà stata la tenacia, sta di fatto che tutto fila liscio, a differenza di quanto si dice sulle lungaggini della burocrazia italiana. «Certo, non è pensabile aprire un business da un giorno all’altro – commenta – ho avuto bisogno di aiuto per i documenti scritti in italiano, e sono stati proprio i miei dipendenti a darmi una mano. Credo che il segreto sia essere positivi. Galatina è un paese turistico, ci sono molte persone di passaggio da Roma, Milano, Firenze, e anche australiani, inglesi giapponesi, in vacanza o trasferitisi qui. Siamo un po’ un riferimento per una clientela internazionale».

Così, dopo aver servito Kate Wislet, Rupert Murcock e Vanessa Williams, oggi Mario Percuoco sorride dalla cucina di piazza Orsini, mentre sforna parmigiane di antica ricetta, ma completamente rivisitate. Osare è un altro suo segreto, fuori e dentro la cucina. «Molti mi dicono: sei matto ad aver lasciato Sidney. Un po’ di pazzia ci vuole, dico io, quando sei uno chef. Io e la mia famiglia abbiamo sempre amato e portato alta l’Italia all’estero con il nostro cibo. E comunque qui mi trovo benissimo: se ti senti a casa, i clienti lo avvertono e ti scelgono».

John Duggan, architetto e artigiano di Sacramento, ora a Lecce

«Riabilito gli antichi mestieri dimenticati dagli italiani»

Nel Salento, lui, ha trovato il proprio focolare. E non solo perché è arrivato qui per amore, nell”89, fresco di matrimonio con una leccese. John Duggan, americano di Sacramento, nel Salento ha trovato una patria ideale, lui così nostalgico per temperamento, trovatore affezionato delle persistenze del passato nel quotidiano contemporaneo, tanto da averne fatto il suo lavoro. Un artigiano d’altri tempi, esperto costruttore di insegne in legno. Un borgo antico, una finestrella mossa dal vento: è questo il mondo di John. La figlia primogenita, invece, ha lasciato la natìa Lecce per volare a studiare Cinema a Los Angeles. La seconda, però, vuole restare.

Ma facciamo un passo indietro. È il 1989: «io e mia moglie ci eravamo conosciuti qualche anno prima a Firenze, quando facevo l’ultimo anno di Architettura. Appena sposati abbiamo deciso di venire a Lecce, dopotutto era molto simile alla California: la temperatura, le spiagge, c’era qualcosa che mi riportava a casa. Io, che ho sempre amato le cose un po’ retro, mi ero specializzato nel rendering dipinto a mano, acquerelli che presentavano progetti architettonici e vedute aeree, mentre al tempo tutti facevano plastici. Ho iniziato a collaborare con un’impresa di Bari, poi, da qui, per gli Stati Uniti. Poi, con la crisi nessun posto era più quello giusto per un architetto. Non ci siamo scoraggiati: ho trasformato il mio studio in un b&b, che rende bene dato che si trova a due passi dalla basilica di Santa Croce».

Nel frattempo, John rispolvera gli attrezzi dell’artigianato tradizionale. «Faccio il decoratore, mi ispiro agli artisti napoletani, e realizzo loghi e insegne in legno. Un tempo gli italiani erano bravissimi, memorabili le insegne delle farmacie. Io riabilito queste antiche attività. Del resto, noi statunitensi ci immaginiamo l’Italia come cento anni fa, e io stesso sono un po’ nostalgico e amo ritrovare le tracce del passato dove ha fatto ormai irruzione la modernità. Nel centro storico di Lecce, nell”89, c’erano le botteghe, le persone sedute sull’uscio di casa, le “putee” con i vecchietti che mangiavano i pezzetti di cavallo. Mi piace quel Salento».

Isabella Wojtiuk brand manager di Francoforte, ora a Nardò

«Il Salento una seconda casa. Apro un albergo qui»

Brand manager per Valentino e altri marchi stellati della moda internazionale, polacca di origine, cresciuta a Francoforte, abituata fin da giovanissima a tagliare i cieli dell’Europa tra Londra, Parigi, Monaco di Baviera. In Italia, il riferimento è la rapidissima Milano. In questi giri, però, s’imbatte in un salentino che ha fatto fortuna in Francia, e che ha poi pensato bene di capitalizzare il denaro in tempo e qualità della vita. Così comincia la nuova storia di Isabella Wojtiuk, reinventatasi imprenditrice del turismo a Nardò.

«Antonello Rizzello ha scoperto questo meraviglioso posto, l’ex Monastero di Santa Teresa. Io ero venuta a trovarlo qualche volta, e vedendo il mio entusiasmo mi ha proposto di fare un investimento insieme a una terza socia. Tutti noi abbiamo subito creduto in questo progetto. Abbiamo detto: facciamolo diventare un luogo importante, in cui le persone possano alloggiare ma che apra anche le sue porte a eventi, convegni, matrimoni, mostre e iniziative culturali. Noi tre abbiamo idee e contatti diversi, e per questo unendoci si può creare qualcosa di unico. Al momento nel Monastero ci dormo io, ma quando apriremo al pubblico sarà ora che mi trovi una vera casa. Di certo, Nardò lo è, ormai: una seconda casa. Vengo qui ogni mese e tornerò sempre più spesso ad attività avviata. Perché il Salento? Perché quando sono qui dico sempre: finalmente respiro. Trovo un ritmo di vita completamente diverso rispetto a Milano, contano ancora le piccole cose, si trova più tempo per fermarsi in strada a fare una chiacchierata con un vicino. Qui dopo una giornata passata a lavorare sul progetto, scendo giù al mare e sono la persona più felice del mondo. E poi, il Salento mi saluta ogni volta con un cielo blu. E per me, dove il cielo è blu è il posto giusto».

Michel Bergé, export manager di Bruxelles, oggi a Lecce

«Vendo taralli a belgi e inglesi. Ma molte aziende non lavorano seriamente»

Caminetti e calcestruzzo non avevano segreti per Michel Bergé, scafato export manager nel settore delle costruzioni. Ma dalla sua base di Bruxelles, il grande mistero era piuttosto quello che albergava nel suo cuore. Che cosa manca a un ragazzo di neanche trent’anni, il salvadanaio pieno e una carriera in ascesa? «Mi mancava il Mediterraneo – chiarisce Michel – volevo vivere a Sud, questa è la verità. Dovevo imparare un po’ di italiano poiché lavoravo con un’azienda del Nord Italia, nel Salento conoscevo qualcuno, ne ho approfittato per venire qui, e poi infine per restare. Son passati oltre vent’anni».

Sì, ma il lavoro? In tasca l’esperienza nel commercio internazionale, davanti agli occhi, nelle vetrine delle botteghe leccesi un’offerta di prelibatezze della tradizione locale salentina, al telefono, nelle conversazioni con i conterranei in Belgio, le richieste sempre più insistenti di taralli, friselle, biscotti fatti in casa. L’equazione era facilmente risolvibile. Meno facile, forse, gestirne i corollari. «È nata l’idea di mantenere il mio lavoro, ma cambiando settore. Avrei fatto una selezione di prodotti gastronomici locali da proporre a negozi specializzati, prima in Belgio, poi in Inghilterra. Biscotti, olio, pasta, vin cotto, cioccolatini. Inizialmente la rosa dei prodotti era ampia, poi con il passare degli anni si è ristretta, ed è stata affiancata a prodotti provenienti da altre parti d’Italia. La ragione? Molte aziende non lavorano seriamente. Le tempistiche non sono rispettate, c’è pressappochismo negli standard dei prodotti. Molti pensano che basti scrivere “artigianale”: non è così. Non è bello dirlo, perché ormai mi sento salentino anch’io. Per altri versi qui sono sempre stato benissimo, la leggendaria accoglienza italiana è una storia vera, con me il Salento è stato sempre buono e generoso».