«Holstebro, un’utopia realizzata»

(Questo articolo è stato pubblicato con un altro titolo su Nuovo Quotidiano di Puglia, gennaio 2016)

Davide Barletti. Teatro e comunità, il sogno possibile dell’Odin Teatret. “Il paese dove gli alberi volano”, il documentario firmato con Jacopo Quadri, racconta i giorni della Festuge per i cinquant’anni dell’Odin.

«Holstebro, un’utopia realizzata»

La prima scena – una strada asfaltata sotto un bianco cielo del Nord e una dozzina di ragazzi africani che la percorrono facendo acrobazie con una naturalezza disarmante – ha già in sé la forza di un manifesto. Siamo a Holstebro, cittadina della Danimarca che è poco più di una virgola sulle mappe geografiche, eppure è in grado di evocare magia e rivoluzione in chiunque, nel mondo, conosca il teatro contemporaneo. Qui Eugenio Barba impiantò, nel ’66, l’Odin Teatret, fondato due anni prima in Norvegia e qui, mezzo secolo dopo, Davide Barletti e Jacopo Quadri sono approdati per carpire l’eredità, più che mai vitale, di quell’avventura.

Dal loro viaggio nasce il documentario “Il paese dove gli alberi volano. Eugenio Barba e i giorni dell’Odin”, prodotto da Fluid Produzioni e Ubulibri con il sostegno di Apulia film commission e Creative Europe, in collaborazione con Sky Arte. Il lavoro verrà presentato oggi alle Giornate degli autori della 72esima Mostra del Cinema di Venezia.

L’uno, Jacopo Quadri, dopo aver realizzato un lavoro su Luca Ronconi coltivava l’idea di un nuovo film sul grande teatro contemporaneo; l’altro, Davide Barletti, sognava da tempo di ricostruire il passaggio rivoluzionario dell’Odin Teatret a Carpignano Salentino.

A giugno 2014 i due sono insieme a Holstebro per raccontare i giorni della Festuge, appuntamento che celebra i cinquant’anni dell’Odin. Un “baratto” fecondo tra la periferia estrema e l’avanguardia culturale, l’infinitamente piccolo e l’orizzonte sconfinato, esperienze che fanno di Holstebro il paese dove gli alberi volano e l’utopia diventa reale.

Ne abbiamo parlato con Davide Barletti, volato a Venezia dal set salentino de “La guerra dei cafoni”.

Da cosa muove la scelta di questo lavoro?

«Mi sono sempre dedicato alle memorie della nostra terra e a tutto ciò che l’ha attraversata e cambiata. Un passaggio fondamentale di quella storia è il 1974, quando l’Odin Teatret approda per sei mesi a Carpignano Salentino, lasciando lunghi strascichi nell’immaginario collettivo. Basti pensare che la Festa del vino è stata istituita allora, come scambio tra coloro che si esibivano e la popolazione locale. Anche Jacopo Quadri, che io conoscevo come un grandissimo montatore, stava lavorando su Barba: abbiamo deciso di continuare insieme».

Quali suggestioni avete riportato a casa dall’esperienza a Holstebro?

«La più grande è stata l’aver assistito a un’utopia realizzata, il sogno di Barba e dei suoi attori di costruire una fortezza senza mura, un approdo in cui sono confluite le energie migliori degli ultimi cinquant’anni. Una provincia sperduta della Danimarca è diventata così uno dei luoghi simbolo dell’arte contemporanea, certo anche grazie alla lungimiranza delle Istituzioni locali. Nei quindici giorni in cui siamo stati a Holstebro abbiamo potuto vedere il maestro in azione, che riusciva a esprimere la sua poetica nell’allestimento degli spettacoli come nell’accoglienza degli attori».

Su cosa avete lavorato per restituire queste impressioni in un’opera audiovisiva?

«La nostra idea di racconto è stata stravolta radicalmente dall’esperienza di quei 15 giorni. Abbiamo capito che la chiave era riprendere la storia di quell’incontro senza tanti artifici e sovrapposizioni intellettuali. Il risultato è un film “politico”, che si concentra sul concetto di comunità. Per questo abbiamo privilegiato la Festuge pur avendo altro materiale, come le riprese dei giorni in cui Barba è tornato a Gallipoli. Chissà, forse ne faremo un altro film. In questo lavoro c’è il rigore della poetica di Eugenio, ma anche quel tocco di rarefazione, di sogno, che il linguaggio dell’Odin ha in sé».