Buenos Aires. La “festa mobile” degli italiani

Attilio Ardito, organizzatore di Aperitano. Una delle cinquanta storie di “Torno quando voglio”

Dalle mappe geopolitiche allo spazio di un bar, dai “mas­simi sistemi” delle relazioni tra Stati alla relazione faccia a faccia con le persone: tra gli anni spesi all’Università e la nuova vita di Attilio Ardito in Argentina il salto è in fondo solo una questione di prospettiva.

Originario di Oria, a Buenos Aires Attilio era arrivato tre anni fa, fresco di laurea, per frequentare un master in Rela­zioni internazionali Europa-Argentina presso la sede in loco dell’Università di Bologna. Ma presto il flusso ininterrotto di vite e culture che attraversa la città gli aveva suggerito una via ulteriore per ripercorrere il lungo cordone che lega la storia dei due continenti.

È così che alla diplomazia tra Stati Attilio ha finito per pre­ferire il rituale legato al convivio. “Aperitano”, l’aperitivo culturale itinerante ideato insieme al salernitano Giuseppe Sauro, nasce da questa idea. «Vogliamo far riscoprire ai fra­telli argentini le proprie radici, recuperando la storia e le tra­dizioni del Belpaese attraverso riti, costumi e sapori – spie­ga – l’Aperitano è soprattutto un “ponte culturale” fresco e innovativo che coniuga cultura gastronomica e coscienza sociale». E divertimento, anche: una soluzione strategica per un trentenne approdato nella metropoli più esuberante del Sud America.

Prima, seconda e terza generazione di italiani – “tano”, come “napoletano”, è l’appellativo comune degli italiani in Argentina – immancabile la pizza, varia la musica, dal repertorio popolare al jazz, un mix culturale in equilibrio dinamico tra un brindisi e una quadriglia ballata come in discoteca.

Di giorno Attilio continua a darsi da fare dividendosi tra due lavori, alla reception di un ostello e in un patronato ita­liano. Di sera, il terzo impegno lava via la fatica degli al­tri. Tanto che sta pesando di investire tutte le sue risorse in questo progetto. Ed è qui che “rispunta” il Salento. «Il mio sogno è quello di aprire un ostello che sia anche centro cul­turale – dice – a luglio tornerò e mi fermerò un po’ di mesi, per far sì che diventi realtà». Un “buen retiro” dallo spirito sudamericano, trapiantato in patria.