C’era una volta un uliveto abbandonato

(Questo articolo è uscito con un altro titolo su Salento Review, marzo 2015)

Parco dei Paduli. Piantare immaginario, nel cuore del Basso Salento

C’era una volta un uliveto abbandonato

Dalla finestrella che si apre al centro del rifugio di rami e canne, la luce del mattino filtra attraverso l’ombra mobile delle foglie di ulivo. Il primo frame del nostro viaggio nel Parco dei Paduli è il cielo visto dalla “Tana”, uno degli ecorifugi costruiti nell’oliveto comunale di San Cassiano: un’immagine che, da sola, potrebbe parlare della storia recente di questo territorio e della sua trasformazione da luogo d’abbandono a “parco agricolo multifunzionale”, in cui il recupero del potenziale produttivo si sposa con la valorizzazione del valore estetico-paesaggistico. Là dove giacevano, indifferenti e scomposti, case di pietra, itinerari solcati da muretti a secco e centinaia di ulivi secolari, nel cuore delle Terre di Mezzo – 5500 ettari a Sud di Maglie – c’è oggi un’unità coerente, un paesaggio che è insieme fisico e culturale, prodotto della sinergia tra popolazioni locali, Amministrazioni, progettisti e artisti internazionali, stimolata dalla brillante intuizione del Laboratorio urbano aperto (Lua).

Il Parco dei Paduli è ora candidato per l’Italia nella corsa al quarto Premio del paesaggio del Consiglio d’Europa. Il progetto ha superato per innovatività altri 44 parchi, un piccolo Davide contro i Golia di Enti istituzionali solidi e realtà associative di lungo corso, ma forte, tuttavia, del sostegno della Regione Puglia, che sin dal 2011 aveva scelto il parco come progetto pilota indicato nella bozza del Piano paesaggistico territoriale regionale.

A convincere la giuria è stato l’“approccio sistemico” che ha messo in comunicazione realtà eterogenee già presenti sul territorio. Un’operazione, in sintesi, che è stata giocata in primis sull’“immaginario”.

Oggi intorno al parco si sviluppano attività diverse promosse da cinque laboratori-associazioni coordinati dal laboratorio urbano Abitare i Paduli, che permettono di offrire un’esperienza di fruizione a 360 gradi. Così chi arriva in visita al parco può, ad esempio, affittare una bici per un giro in piena autonomia lungo le piste ciclabili che collegano i dieci comuni o seguire le rotte suggerite dalle guide del Laboratorio di mobilità, come Simona Demitri, che ci accompagna per i Paduli insieme ad Alessandra Lupo del Lua.

Tante le storie da raccontare, incarnate nelle forme antichissime delle rocce e degli alberi. “Avisu” nel dialetto locale significa “abisso”, ed è il nome attribuito comunemente alle vore, tipiche del carsismo salentino, ma ai Paduli “Avisu” è il nome proprio della vora di Scorrano, una cavità profonda otto metri: “abisso” per antonomasia agli occhi degli abitanti del luogo. L’antica vita del Bosco di Belvedere, che si estendeva tra paludi (“paduli”) e querce in quest’area sino all’’800, è resistita all’attività dei carbonai in qualche angolo dimenticato di boscaglia, come a Santu Donnu, località di Nociglia Fontana, dove i maestosi alberi svettano accanto a un canneto mosso dal vento.

Attraversando i Paduli è facile cader preda di un desiderio “fetale” di ritorno alla natura. Per questo ci sono i “nidi”, rifugi costruiti con materiale naturale o di recupero all’interno dell’oliveto comunale di San Cassiano: la “Tana”, realizzato nell’estate 2014 dall’artista Dem, “Lovo” e il “Nido dei Paduli”, primo e secondo classificato del concorso “Nidificare i Paduli”. Si può scegliere anche di pernottare nella “Caseddha”, rudere recuperato, autosufficiente dal punto di vista energetico, o in una delle case sfitte intercettate dal Laboratorio di ospitalità diffusa di Botrugno.

Ma quello dei Paduli non è solo un parco “contemplativo”: qui infatti viene prodotto – con tecniche rigorosamente tradizionali – l’olio “Terre dei Paduli”, che ha vinto di recente il concorso di Olio officina per l’efficacia comunicativa del packaging che comprende, oltre all’olio extravergine, anche una lattina di olio lampante, l’antico prodotto di queste terre.

Mentre prosegue la corsa per il Premio del paesaggio, già si pensa a nuovi processi innovativi da innescare nel parco. In agenda ci sono, come spiega Iuri Battaglini del Lua, l’istituzione di un bilancio partecipato che renda condiviso anche l’aspetto decisionale e gestionale della produzione dell’olio, l’apertura di una trattoria agricola con i prodotti del parco, e la ristrutturazione del frantoio di Santa Cristina a San Cassiano, al fine di trasformarlo in un centro produttivo e insieme culturale.

Intanto, all’alba di una nuova primavera, stradine e campi tornano ad essere popolati dai visitatori: è questa, forse, la prima forma di tutela di un territorio, nel cuore del Basso Salento, ancora tristemente oggetto di indagini sugli interessi delle ecomafie – come il presunto interramento di tonnellate di rifiuti a Supersano, nelle immediate adiacenze del parco.

Al termine della nostra giornata al parco scorgiamo alcuni elettrodomestici a ridosso dell’uscita di San Cassiano, che dopo questo “abbandono nell’utopia” ci riportano alla realtà: quel piccolo mucchio di spazzatura richiama, con un’evidenza che non ha bisogno di parole, l’importanza del percorso collettivo intrapreso per la rigenerazione dei Paduli, ma ci ricorda anche quanto fragile e mai definitiva sia ogni battaglia di civiltà.