Il Castello Aragonese di Gallipoli. Un tempo presidio contro le invasioni turche, oggi vi approdano turisti armati di fotocamera e guida Touring

(Questo articoloè stato pubblicato con un altro titolo su nuovo Quotidiano di Puglia, agosto 2016)

Castelli/3

Il Castello Aragonese di Gallipoli. Un tempo presidio contro le invasioni turche, oggi vi approdano turisti armati di fotocamera e guida Touring.

Nei cunicoli delle torri e lungo i camminamenti dell’enorme terrazzo, dove stavano di vedetta, per secoli lo spauracchio dei soldati che presidiavano il Castello di Gallipoli era scorgere una vela turca mescolarsi al profilo del maniero nello specchio azzurro del porto. Molto più di recente, nei decenni in cui nessuno più ha percorso quelle stanze, è stato lo spettro dell’abbandono di un gioiello caduto in rovina a far sobbalzare i cuori dei gallipolini. Dal 2014 il terzo tempo del Castello Aragonese, con un nuovo “esercito”, ma pacifico, che ha sostituito gli antichi soldati.

Se a Baia Verde e a a Punta della Suina – tra le mete più “cool” dell’estate salentina – tra luglio e agosto si consuma l’invasione di massa dei vacanzieri armati di cocktail e creme solari, da quando il castello ha riaperto le porte qui approdano piuttosto turisti con fotocamera e guida Touring al seguito. E, perché no, anche qualche patito della tintarella che posticipa di un paio d’ore l’appuntamento quotidiano con il sole. E c’è anche chi, il sole, va a prenderlo sul terrazzo del castello, da cui si gode la vista mozzafiato della costa jonica.

Sei secoli fa, al tempo delle scorribande saracene, non era un “divertissement” ma una questione fondamentale di sicurezza riuscire a rintracciare una a una le torri costiere che comunicavano tra loro con grandi fuochi visibili a chilometri di distanza.

Il 1480 fu uno spartiacque della storia otrantina e di quella dell’intero Regno di Napoli. Re e imperatori che si alternarono al comando, nei decenni successivi si preoccuparono di rendere le fortezze pugliesi a prova d’assedio, e anche il Castello di Gallipoli cambiò forma. Il Duca Alfonso di Calabria, approdato nel Salento nel 1491, affidò il compito all’architetto militare senese Francesco di Giorgio Martini, esigendo che l’originario impianto quadrangolare assumesse la forma pentagonale “in voga” tra gli Aragonesi. Fu così che venne eretto il Rivellino, l’enorme torrione che avrebbe atterrito i possibili invasori con l’esibizione della propria imponenza, ma anche con il fuoco. Ancora oggi, lance e catapulte originali testimoniano la storia di guerra a cui è legato il castello.

Accanto a questa, resta la storia dei vivaci commerci gallipolini entrata a piè pari nel maniero: nell’Ottocento questo divenne un deposito di sali e tabacchi, addirittura la facciata fu coperta dal mercato ittico, e dal 1882 divenne sede della Dogana.

Oggi i traffici e i commerci si giocano, piuttosto, intorno all’economia del turismo e della cultura. Con la riapertura la gestione è passata all’Agenzia di comunicazione Orione – sotto la responsabilità di Raffaella Zizzari – la stessa che sovrintende le attività del Castello di Otranto, e oggi è l’arte la protagonista del “terzo tempo” del Castello Aragonese, in attesa che l’intero complesso sia restituito alle sue antiche glorie.

Così, agli scenari di battaglie e conquiste ha finito per sostituirsi il messaggio di armonia universale del “Terzo Paradiso”, l’istallazione di Michelangelo Pistoletto ospitata da giugno a ottobre 2015, o quello di solidarietà e dialogo de “La prima aurora”, la mostra fotografica di Simone Cerio, fotoreporter di Emergency, che resterà attiva fino al prossimo 2 ottobre. Nelle sale e sulle terrazze del castello anche la mostra “Heroes”, mostra di arte e design di Renzo Buttazzo e Lara Bobbio.

Ma ci si può anche perdere in un giro nel passato, come nella spettacolare Sala Ennagonale, o sorprendersi dell’effetto eco delle Sale circolari.

Intanto, prosegue la campagna per recuperare l’antica memoria storica e artistica del castello, “Adotta un affresco”: una raccolta fondi per impedire il definitivo degrado dell’unica sala affrescata del complesso, una cappella, e per riportare alla luce le pitture ad oggi ancora nascoste. Come, ad esempio, il curioso personaggio capovolto di cui si intravede solo la testa.