«Otranto oggi: la scommessa è uscire dal locale»

(Questo articolo è stato pubblicato con un altro titolo su Nuovo Quotidiano di Puglia, agosto 2016)

Roberto Cotroneo. Contro la banalizzazione dell’immaginario salentino tutto muretti a secco e Notte della Taranta

«Otranto oggi: la scommessa è uscire dal locale»

Quando risponde al telefono è appena arrivato, e sta ancora abituando gli occhi alla luce abbacinante della controra otrantina. Un’ora di nessuno, verrebbe da dire proseguendo idealmente la celeberrima “Ora di tutti” di Maria Corti. Persino i “demoni meridiani” che attraversano da vent’anni prosa e poesia di Roberto Cotroneo sembrano decisi a riposare, nell’ora che precede la riapertura delle botteghe e delle bancarelle. Ma Otranto non è quella di vent’anni fa, e il silenzio luminoso che ispirò il romanzo omonimo del ’97, poi la raccolta poetica “I Demoni di Otranto” (2014) è solo una parentesi nella vita della città. «Otranto oggi ha un’opportunità che passa dal modo di sentire la cultura, i luoghi, il Sud. Sono cose da una volta sola, e io mi auguro che sappia cogliere questa occasione, e non solo come una maniera per fare affari». È questa la scommessa di “Parlando di libri, scrittori e storie”, la rassegna che Cotroneo cura insieme al Comune di Otranto. Dopo il primo appuntamento di luglio, da oggi a domenica l’iniziativa prosegue con tre serate dedicate al “work in progress” degli autori.

Puntare sul “personale” è un modo per sfuggire alla trappola del solito appuntamento letterario, spesso noioso o per addetti ai lavori?

«Il problema di tutte le kermesse letterarie è che partono dall’idea di sponsorizzare i libri. Io credo che questo non serva a nessuno, né all’editore, perché in fin dei conti non si vende molto in questo modo, né all’autore, perché è un modo di “prostituirsi”, né a chi partecipa, perché ascolta cose standard, ripetute ovunque. Qui si raccontano altre storie, quelle quotidiane di chi fa questo mestiere: non ho voluto che ci fossero libri in vendita né che gli autori venissero indicati con un’opera, come nella tradizionale presentazione in libreria. L’idea è di staccarsi da un modello consolidato che fa pare del marketing editoriale, per stare in una dimensione “culturale”. Ma è anche importante evitare un meccanismo localistico. Non è giusto che a Otranto o a Lecce debbano arrivare solo cose leccesi, muretti a secco e Notte della Taranta, un evento che passa un po’ per nazionale, ma che in realtà ha una profonda identità locale. Accanto a questo, è giusto che arrivino autori da fuori a parlare di cose di cui si discute in tutto il mondo. Il Paese deve crescere, e non può farlo restando nel locale».

Nella tre giorni che ci attende interrogherà altri scrittori circa i propri “work in progress”. E il suo, come funziona?

«Io sono molto lineare. Il mio processo creativo non è tormentato, è anzi molto metodico. Scrivo diverse ore al giorno e solo se sono riposato, non scrivo mai di notte. Ognuno ha il suo modo, questo è il mio, ma devo dire che, avendo conosciuto la maggior parte degli scrittori italiani degli ultimi trent’anni, so che molti lavorano come me. Il rito è qualcosa di rassicurante, un processo nevrotico che spinge a mettere ogni cosa al proprio posto per sentirsi più sicuri di ciò che si andrà a fare. Diciamo che è più una sorta di scaramanzia che un’esigenza era e propria».

Da giornalista, invece, a proposito del terremoto che ha colpito il Centro Italia, in un post su Facebook ha suggerito a «molti giornali» italiani di tornare a «una serietà che è fatta di scrittura che non si atteggia a scrittura».

«Un chirurgo che opera un bambino prima lo opera, poi, quando arriva a casa, si commuoverà per conto suo. Allo stesso modo, davanti a eventi così luttuosi i giornalisti dovrebbero essere chirurgici, netti, non freddi ma rigorosi, capaci di raccontare ai lettori quello che è avvenuto davvero. E invece fanno gli esibizionisti col trionfo dell’aggettivo, antepongono la propria emotività e finiscono per scrivere stupidaggini».

Torniamo a Otranto. Nel suo romanzo scriveva «il tempo qui è un monolite che rende gli orologi dei giocattoli inutili». “Otranto” l’anno prossimo compirà vent’anni: quelli di oggi sono gli stessi Demoni che sembravano occhieggiare dal “palcoscenico storico” del paese – come lo definì Maria Corti recensendo il libro? O lo scenario odierno ispira altre storie?

«Tutto cambia, ed è cambiata anche Otranto. Oggi siamo difronte a una grande scommessa culturale. Otranto oggi ha un’opportunità che passa dal modo di sentire la cultura, i luoghi, il Sud. Sono cose da una volta sola, e io mi auguro che sappia cogliere questa occasione, e non solo come una maniera per fare affari. Sarebbe un errore imperdonabile soprattutto per le comunità che abitano questi luoghi, e che finora hanno dovuto inseguire mondi che erano sempre troppo lontani».