Lecce, cronache da coworking

(Questo reportage è stato pubblicato con un altro titolo su Nuovo Quotidiano di Puglia, dicembre 2015)

Tariffe orarie e chiacchiera, progetti di autofinanziamento e babysitting autogestito, strumenti in comune, sinergie

Lecce, cronache da coworking

Da un lato ci sono professionisti e imprese con ampi uffici a disposizione e un budget sempre più limitato da investire in affitto e manutenzione. Dall’altro c’è un popolo in crescita di freelance, liberi professionisti “fuori porta” e altre figure “nomadi”. Poi c’è un terzo elemento, il desiderio di superare le distanze di un lavoro sempre più parcellizzato e alienante, per mettere in comune, oltre al budget, anche le idee e le esperienze. Si chiama coworking, è una delle pratiche trainanti della sharing economy, nell’ultimo anno ha coinvolto circa 1,5 milioni di occupati, il 5% dei giovani tra i 20 e i 34 anni secondo il rapporto Censis 2015 sulla situazione sociale del Paese. E anche nel Salento, il coworking sta diventando un vero e proprio trend del lavoro 2.0.

A Lecce sono diversi gli spazi sorti negli ultimi mesi, ricavati all’interno di uffici professionali o sedi di imprese troppo grandi per l’uso richiesto. Spazi che, dopo un primo periodo di rodaggio, iniziano a essere frequentati da una platea crescente: professionisti che passano la maggior parte del tempo in giro tra i clienti, supervisor di grandi aziende inviati per poche settimane in un’altra città, o ancora la vasta corte dei freelance con budget limitato.

Per gli uni e per gli altri si pone il problema dello spazio in cui svolgere alcune indispensabili mansioni della propria attività: usare il computer, fare telefonate o ricevere un cliente. È qui che entra in gioco l’offerta.

Hub Lecce si trova in via Sturzo. Fino a meno di un anno fa era, esclusivamente, la sede di Alba Project, una società che opera nell’ambito delle tecnologie digitali. Uno spazio troppo grande per le tre socie, che lavorano spesso fuori: così, oggi l’ufficio resta aperto dal lunedì al venerdì, disponibile, su richiesta, per poche ore o come vera e propria sede fissa, tant’è che è anche possibile affiggere una targa professionale. Spazi confortevoli ma semplici, destinati soprattutto a giovani professionisti.

Nell’open space, la tariffa giornaliera è di 10 euro più iva, quella settimanale di 40, quella mensile di 120 euro; mentre nell’ufficio singolo la spesa è rispettivamente di 15, 60 e 180 euro.

Aziende che hanno bisogno di organizzare una riunione possono farlo nella meeting room; stampante, scanner, telefono fisso, videoproiettore sono in comune.

«È una soluzione utile per molti professionisti e aziende che vengono dalla provincia e operano saltuariamente in città – spiega Federica Longo di Alba Project – ad esempio, per un paio di mesi è stato con noi un architetto del Nord Salento. Mentre nel 2016 ospiteremo una società romana di sensibilizzazione sociale e raccolta fondi, che sta sviluppando un progetto a Lecce».

E ora le tre socie pensano di creare una “community” in collaborazione con l’associazione Tribù digitale, in modo da mantenere i contatti con gli utenti, comunicare le attività e, perché no, realizzare progetti condivisi.

È con questo spirito che Giorgio Mele, giovane imprenditore leccese, ha aperto gli uffici di Zemove, una start up di noleggio auto elettriche e car sharing. Lo spazio, in via Colonnello Costadura, è una sala al piano terra, a cui si accede superando il desk dell’accoglienza clienti di Zemove. Una grande scrivania in condivisione, altre singole, una stampante, lo scanner, il telefono fisso sono utilizzabili tramite “pacchetti” che variano da 15 euro per un ingresso giornaliero, a 150 euro, per un uso full time, di otto ore al giorno dal lunedì al venerdì; mentre chi sceglie l’opzione a consumo ha 50 ore da utilizzare liberamente nell’arco di un mese.

Vi transitano soprattutto giovani freelance: progettisti di bandi, esperti di digital marketing, sviluppatori, grafici. Un gruppo che, a furia di lavorare gomito a gomito e condividere l’area relax, ha finito per avviare collaborazioni più o meno strutturate. «Molti pensano che il coworking sia solo l’affitto della scrivania, ma non è così – dichiara Giorgio Mele – certo, c’è bisogno di qualcuno che svolga un lavoro di facilitazione, mettendo in contatto gli utenti».

E il progetto di “rete” si allarga alle altre attività di coworking in città, con un’associazione che dovrebbe, tra le altre cose, mettere in connessione gli spazi, in modo che un aspirante coworker trovi sempre una postazione libera.

Artisti, artigiani, creativi animano da circa un anno il grande ambiente di Kiio Candles, laboratorio di eco design che sorge in via Taranto. Uno spazio in cui la filosofia del coworking è messa in atto in modo radicale: non sono previste tariffe, ma chi ha bisogno di una postazione si assume la responsabilità di contribuire a rendere sostenibile il progetto, ad esempio dando una mano nell’organizzazione degli eventi di autofinanziamento.

Altro elemento inedito, un servizio autogestito di babysitting: «Qui ci sono diverse donne, molte di noi sono madri, con tutte le difficoltà del caso – spiega Tania Arellano, che fa parte del gruppo informale di via Taranto – così abbiamo pensato di tenere i nostri figli con noi. Chi è libera bada a tutti, e le altre possono continuare a lavorare».

Ibrido” e fortemente orientato alla condivisione è anche il progetto della libreria Ergot, in piazzetta Falconieri. Qui transitano associazioni e freelance, che utilizzano i tavoli, la stampante e il Wi-Fi dello spazio o, su richiesta, la saletta posteriore attrezzata per riunioni ed eventi. A chi si ferma saltuariamente non è richiesta alcuna spesa, mentre chi utilizza lo spazio in modo continuativo contribuisce con una quota. Ma questa può esser in parte compensata dalla disponibilità a sostenere le attività della libreria, che è prima di tutto un centro culturale.

Così è avvenuto per Improvvisart e Terra del fuoco, associazioni che alla Ergot sono di casa già da alcuni anni, condividendo spazi, idee e anche la strumentazione: «Se ne ho bisogno, mi danno in prestito il videoproiettore, l’impianto audio, le luci – spiega Simone Rollo – qui Improvvisart tiene i suoi spettacoli, e con Terra del fuoco collaboriamo al Treno della memoria. L’uso del tavolo è solo un piccolo aspetto del nostro rapporto, ciò che conta è la sinergia”.

Ammortizzare i costi e scambiare idee, e lo studio diventa condiviso

Lavorare fianco a fianco, come compagni di banco, soci o colleghi “in prestito”, condividere entusiasmi e preoccupazioni quotidiani, ma anche input e forze eterogenei per progetti innovativi. In sintesi, fare di necessità virtù. Una “pulce nell’orecchio” che spesso viene dal confronto con il Nord. La condivisione delle spese gioca, certo, un ruolo importante, ma è solo una parte della questione. Coworking è, prima di tutto, una filosofia di vita.

«Ergot nasce come centro culturale, il coworking è venuto quasi naturalmente – racconta Simone Rollo delle Officine culturali Ergot di Lecce – ormai, con le associazioni che usano lo spazio in pianta stabile si è creata una sinergia di lavoro, che è poi la vera essenza di questa formula».

Galeotti”, spesso, uffici e locali troppo grandi per le necessità di un solo professionista o pochi soci. Un problema che diviene opportunità quando le porte si aprono, favorendo lo scambio. «L’idea era proprio quella di lottare contro l’isolamento delle persone, che è la norma in questo periodo storico – spiega Tania Arellano, membro del gruppo informale che gestisce lo spazio di Kiio Candles – ci è sembrata una buona idea unire le forze e, oltre a condividere le spese e i servizi minimi, confrontarsi. Nello spazio di Kiio Caldles ci sono artisti e artigiani, che lavorano fianco a fianco e organizzano anche esposizioni in comune».

Per molti, può essere un modo per far crescere la propria attività. «L’idea di aprire lo spazio mi è stata suggerita da un’amica architetto che ha vissuto a Torino – spiega Federica Longo, ingegnere, una delle tre socie di Alba project srl, che ospita uno spazio dedicato al coworking – l’obiettivo non è quello di fare business, ma di attivare sinergie con professionisti, startupper, associazioni dal forte spirito innovativo, che possano stimolare il contatto con il territorio. Se vogliamo, il coworking può essere inteso come uno strumento di promozione».

È andata così anche per Giorgio Mele. «Zemove è nata ad agosto 2014, qualche mese dopo ho aperto lo spazio al coworking. Mi sono reso conto che era un modo per ammortizzare i costi, ma soprattutto per reclutare delle persone che potessero darmi degli input per il progetto di car sharing. E così è stato: c’è uno scambio di competenze e servizi, e a volte si lavora per un obiettivo comune. Dopotutto, la mia attività si basa sulla condivisione».

Bar, librerie e biblioteche, gli “uffici” dei giornalisti freelance

Un tavolo su cui poggiarsi, la connessione Wi-Fi e una gamma più o meno estesa di servizi di supporto. La presenza di questi elementi contribuisce a disegnare la mappa dei “luoghi d’approdo” di un popolo parallelo di lavoratori, freelance che non hanno accesso alla condivisione, seppur vantaggiosa, degli spazi di coworking. I giornalisti, ad esempio. Prendendo un caffè al bar o sfogliando un libro in biblioteca, è possibile riconoscerli, tablet e auricolari, assorti nell’ascolto di file audio o impegnati a scrivere.

Un popolo di collaboratori esterni che anche a Lecce occupa, quotidianamente, soprattutto gli spazi pubblici e le attività della città. Luoghi in cui fermarsi per inviare al volo un articolo o un comunicato stampa, ubicati preferibilmente in centro, dove si trovano le principali Istituzioni e vengono più spesso organizzate iniziative e conferenze stampa. Oppure spazi in cui ricavare la propria postazione fissa, in assenza di un budget sufficiente a finanziare un ufficio, da soli o in coworking. Che offrano, preferibilmente, oltre alla connessione internet, anche una rosa ampia di quotidiani da sfogliare.

Uno degli “approdi” della categoria è preso in prestito agli studenti universitari: lo Studium 2000. Nella biblioteca, aperta sino alle 20.30, dalle 9 alle 13 è attivo un servizio di emeroteca che raccoglie tutti i principali quotidiani nazionali; e se gli studenti scorrono tutt’al più la propria testata di riferimento, non sono pochi i giornalisti che, al contrario, si fermano a lungo nello spazio, che diviene luogo essenziale di supporto al lavoro.

Un luogo liberamente accessibile, ma aperto dalle 9 alle 13 esclusi sabato e domenica, è la Mediateca delle Officine Cantelmo, che offre ampie scrivanie e connessione Wi-Fi. Lo spazio, frequentato soprattutto da giovani laureati, rispetto ad altri ha il vantaggio di non essere sovraffollato.

L’ospitalità di molte librerie, soprattutto quelle in cui è attivo anche un bar, rende queste attività un altro luogo d’elezione dei giornalisti. La libreria Ergot, ad esempio, in piazzetta Falconieri, è un angolo confortevole per chi abbia bisogno saltuariamente di lavorare al computer, e offre la possibilità di connettersi a internet e stampare documenti. Tappa quotidiana degli spostamenti in centro è la libreria Feltrinelli, che mette a disposizione angoli lettura, la connessione Wi-Fi e un numero medio di quotidiani.

«Abito in centro ma non mi piace lavorare a casa – spiega Ilaria Marinaci – trovo di grande ispirazione scrivere in un ambiente pieno di libri. A volte utilizzo gli studi delle agenzie di comunicazione con cui collaboro, altre volte, se ho bisogno di fare un’intervista, mi fermo nei bar grazie all’ospitalità degli amici. Mi è capitato di inviare un pezzo dai posti più improbabili, ma fortunatamente la tecnologia aiuta».

Commessi social”, il nuovo volto degli addetti alle vendite

C’è chi lancia un evento Facebook e chi pubblica foto su Istagram, chi organizza il blog e chi aggiorna le pagine del sito internet. Essere commessi nell’era della comunicazione significa sempre più spesso trovarsi a gestire i social network dell’azienda per cui si lavora. Così, se un tempo assistere i clienti, disporre i prodotti sugli scaffali e gestire la cassa erano le principali mansioni degli addetti alle vendite, oggi parte di queste attività viene traslata nella sfera della rete. E in seno alle attività commerciali cresce un popolo di “commessi social”: esperti delle tecnologie informatiche, più o meno prestati – quasi mai pagati – alla figura di social media manager. Anche a Lecce, praticamente ogni negozio si promuove con questo sistema.

Davide Sorge lavora come commesso presso GMC, negozio di abbigliamento sotto la Galleria Mazzini, ma gestisce la pagina Facebook, i profili Twitter e Istagram, il canale Youtube e anche Ipop e Linkedin. «Conosco bene i social, perché mi sono utili nella mia attività di dj – spiega – è un’occupazione che mi prende a tempo pieno, alternata alla vendita: se c’è un quarto d’ora in cui non entrano clienti, mi collego».

Anche Georgia Romano svolge un ruolo “ibrido” nel gruppo di Raho Avantgarde, marchio che riunisce punti vendita a Lecce, Gallipoli, Galatina, Nardò e Casarano. Assunta per gestire l’immagine dell’azienda e l’e-commerce, ha anche un ruolo di coordinamento nell’immagine dei negozi, simile a quello di una “supervisor”, grazie alle varie competenze accumulate negli anni per riuscire a sopravvivere nella jungla della moda. «Sono laureata in Fashion desing allo Ied di Milano, ho lavorato come designer per Meltin’ Pot e Dolce e Gabbana, ma ritornata a Lecce ho dovuto adattarmi – racconta – avendo trovato lavoro in una realtà piccola, mi sono occupata allo stesso tempo del disegno e dell’e-commerce. Raho cercava qualcuno che non sapesse solo utilizzare gli strumenti informatici, ma che fosse anche preparato sui brand e su come funziona l’immagine, ed eccomi qui. Gestisco quasi esclusivamente i social, ma allestisco anche le vetrine dei negozi con i commessi e do una mano se serve».

Maria Grazia Semeraro era stata assunta per vendere il vino spillato e in bottiglia de La Vineria, una tradizionale enoteca in via Giusti, vicino piazza Ariosto. Con lei in negozio si è cominciato ad organizzare eventi e a promuoverli tramite la pagina Facebook, prima dedicata ai prodotti in vendita. «L’attività funzionava soprattutto grazie al passaparola – spiega – con l’apertura serale e l’organizzazione di concerti, reading, performance teatrali è cambiato tutto, sono arrivate persone diverse e più giovani. Io mi sono occupata delle locandine e degli eventi Facebook, che certamente hanno contribuito moltissimo a diffondere la nuova immagine del negozio. Ora ho insegnato io stessa al mio titolare come fare».