Via Ettore Polito

(Questo articolo è stato pubblicato con un altro titolo su Nuovo Quotidiano di Puglia, ottobre 2015)

Autori e Città/4

Nomi e luoghi rubati alla realtà e restituiti in forma di romanzo nelle storie del medico e scrittore di Francavilla Fontana, Brindisi tre volte in corsa al Premio Strega.

Via Ettore Polito

Al margine della radura, screziata del rosso dei corbezzoli, una solitudine bruna, ferma ed esatta, avvolge Cosimo Musci. Nel chiarore del giorno filtrato dai rami, ha trovato la concentrazione dell’attimo che precede lo sparo. Con gli occhi fissi sull’inconsapevole tordo, non sembra più il giovane maldestro affacciatosi il giorno prima nella bottega dell’armaiolo, ma un uomo fatto. Pensa al suo trofeo, il giovane Cosimo – un po’ spaccone con quello schioppo in mano e con le scarpe nuove ai piedi che gli fanno male – ma la sua fame è adulta.

Quando, molti anni dopo, avrebbero dedicato una via al nome di Ettore Polito, quello di Cosimo Musci sarebbe ritornato, insieme ai molti altri nomi e cognomi di compaesani che il medico-scrittore di Francavilla Fontana aveva sapientemente cucito nelle proprie storie.

Campano d’origine, approdato in Puglia seguendo il padre ufficiale, aveva fatto le scuole medie in paese per poi proseguire gli studi a Napoli; anni dopo, vi tornerà da medico. Il dottor Polito, per tutti. Un punto di riferimento per la salute del corpo e, spesso, per quella dello spirito, da ingraziarsi con doni generosi a Pasqua e a Natale, come si usava un tempo. Ma se suo posto era lì, dal paese, a volte, aveva anche bisogno di scappare. Allora prendeva a scrivere.

Una boccata d’aria, la (sua) “grande giornata”, al pari di quella da cui prende il nome la novella di Cosimo Musci. Non una fuga, piuttosto una passeggiata gioiosa in cui portare con sé i compaesani. Così, nelle opere di Ettore Polito spuntano di tanto in tanto nomi e cognomi noti all’anagrafe comunale.

«Spesso si trattava di un omaggio – racconta il figlio Rory Polito – mio padre non aveva molto tempo per ribattere a macchina le copie corrette, per cui si faceva aiutare dai suoi pazienti e li ricambiava in questo modo. Il problema nasceva quando quel personaggio moriva presto».

Nomi e cognomi che hanno viaggiato, pubblicati da Schena, tra i lettori di tutta Italia, e per ben tre volte sono approdati tra i semifinalisti del Premio Strega: nel 1982 con “L’altra sponda”, nel 1984 con la raccolta “Otto rose per un fratello” – dedicata al fratello Domenico, morto prematuramente – che comprende “La Grande giornata”, e nel 1990 con “La grande casa bianca”, confrontandosi con nomi del calibro di Goffredo Parise e Sebastiano Vassalli.

Come nel caso di Cosimo Musci, al secolo fabbro e artigiano versatile, molto amico di Polito, che negli anni fu partecipe dello sviluppo economico del paese, mettendo su una fabbrica di mobili nella zona industriale. «Un giorno Cosimo mi portò lì – dichiara Rory Polito – e mi disse di essere riconoscente a mio padre per l’avvio dell’attività, perché non aveva mai smesso di incoraggiarlo».

I nomi di famiglia, invece, sono lo “scherzo” de “La grande casa bianca”: Rosario era il nome di suo padre, che verrà trasmesso al figlio “Rory”, donna Cosima sua madre, Rosa sua sorella.

Una vera “goliardata” fu poi quella di chiamare il protagonista de “L’altra sponda” Erio Borea, con evidente riferimento a Ennio Bonea, critico letterario e recensore – non sempre magnanimo – dello stesso Polito.

Un gioco inverso interessava i luoghi: di questi, lo scrittore prelevava meticolosamente ogni particolare dalla realtà, quindi ne reinventava i toponimi. Così, forse il bosco Bottari o il bosco Laurito si celano dietro il boschetto di Sant’Andrea, colorato di corbezzoli e mirtilli e circondato da acquitrini insalubri. O la famosa “casa bianca” dell’omonimo romanzo: tutt’altro che un’invenzione letteraria, quelle spesse mura si ergevano nella campagna di Oria, e ospitavano la villeggiatura estiva della famiglia Polito.

Luoghi attraversati da vicende umane solo apparentemente marginali, piccole epopee quotidiane del dopoguerra, specchio delle ingiustizie del mondo ma anche di un anelito alla purezza. Il bosco come giardino dell’Eden per un giovane affamato, la casa bianca luogo di pace familiare in un tempo fertile per pescecani e usurai.

Nel 1987 il critico Gerardo Trisolino – oggi vicesindaco – intervistò l’autore nel suo studio in via Tagliavanti. Avevano parlato di Hemingway e Melville, ma anche della guerra. «Nemmeno il Phitecantropus erectus poteva avere in sé tale violenza come l’ha avuta il pitecantropo di adesso», gli aveva detto (l’intervista è in “Scritture brevi sull’ultimo Novecento”, 2002). Da medico si sentiva investito di una responsabilità morale a cui tentava di adempiere anche come scrittore. Era un sognatore: fu lui a suggerire il nome della rivista fondata da Nadia Cavalera, “Geminga”, ispirato a una stella appena scoperta, ricorda Trisolino.

Oggi a Francavilla Fontana, paese ricco, rinomato per le sue aziende – seppur in sofferenza a causa della la crisi – un breve vicolo che porta al liceo Classico Lilla ricorda quella storia così diversa, raccontata dal medico-scrittore. Via Ettore Polito.