Diario Koreja. Un paese per il Santolivo (Aradeo, Lecce, luglio 2017)

(Questo testo è stato scritto per il Diario di Teatro Koreja)

Il richiamo viene da sterminati campi archetipi, da un tempo senza tempo in cui le radici del passato e le fronde nuove si intrecciano in innumerevoli punti di domanda. Le luci si spengono in piazza Camine, un faro illumina un balcone in alto, la tromba di Giorgio Distante chiama a raccolta la macchina dell’immaginario intonando il canto antico dei raccoglitori abruzzesi. «Nebbi’ a la valle nebbi’ a la muntagne / ne le campagne nun ci sta niscune / addije addije amore / casch’ee se coije / la live casch’a l’albere li foije»: porteremo con noi questa immagine per l’intera processione in onore del nostro Santolivo. Una suggestione di deserto e foglie caduche ci richiama alla ragione del nostro essere qui oggi, alla necessità del nostro racconto.

Gli ulivi del Salento stanno morendo e noi canteremo il nostro requiem, l’omaggio necessario all’identità che abbiamo costruito per secoli, quale che sia il destino che ci attende domani. «Ho cercato di coltivare una speranza, ma stamattina ho sradicato un albero» grida dal balcone difronte Antonio – uno dei due volontari a cui Koreja ha affidato la missione di prelevare il nostro protagonista dalla campagna.

Non abbiamo risposte né rimedi, tuttavia abbiamo la forza del nostro canto e un paese intero a condividerne il senso. Dall’alto dei balconi alla piazza gremita ci si fa eco a vicenda con i versi di Vittorio Bodini: «Cade a pezzi a quest’ora sulle terre del Sud / un tramonto da bestia macellata / L’aria è piena di sangue, / e gli ulivi, e le foglie del tabacco, / e ancora non s’accende un lume».

Ed eccolo, annunciato dallo scampanellio del calesse trainato da due maestosi murgesi, il nostro Santo. Inargentato come una statua della Passione, compianto da una vedova vestita a lutto. Sarà il suo passaggio ad animare le successive stazioni e la macchina di attori, bandisti, cantanti, ballerini e cittadini del paese prestati all’arte, facendosi largo nella folla che segue il corteo addensandosi di strada in strada.

Davanti alla chiesa dell’Annunziata cinque danzatrici si inerpicano su altrettante scale, facendosi largo nei ricordi degli anziani, nelle domande dei bambini del paese intervistati nelle settimane precedenti, che ora riaffiorano come totem giganti sul prospetto dell’edificio. E i ricordi si fanno carne in piazza Indipendenza, sul palco che accoglie un organetto e un passo di tango, come si usava di un tempo, sotto le chiome degli ulivi.

Il rumore di una motosega interrompe l’incanto. L’intera parata sarà un corpo a corpo con il destino dell’albero. Lutto e desiderio, rassegnazione e pianto, cerchio della vita e danza macabra. «Una volta devono morire: come muoio io, tocca pure a loro» commenta uno degli anziani proiettato in video e in piazza si ride anche. Dalla Torre dell’Orologio un angelo equilibrista cammina a testa in giù, e ha radici ai piedi, come se volassero via dalla terra. La banda da il là a altro requiem. Ai piedi del Santo, la vedova getta il velo mostrandosi vestita di fuoco. Lo pettina e lo bacia, lo accarezza, gli parla come a dirsi che no, non è ancora il momento di piangerlo. Sull’ultimo palco di piazza San Nicola una corona di giovani ballerine scuote la terra e sfida il tronco disteso.

Diretti da Anna Stigsgaard, con gli attori di Teatro Koreja, gli allievi attori del KorejaLab di Aradeo, la compagnia Equilibrio dinamico, Euthymìa danza e benessere, il coro polifonico Amici della musica, il Concerto musicale città di Aradeo, il coro di Santa Lucia, il coro dei bimbi Santissima Annunziata, la Libera compagnia teatrale e la compagnia Hypocrites: al termine di questa vasta ramificazione per le vie del centro, i partecipanti saranno oltre duecento. Difronte, sotto, intorno, una platea di migliaia di persone. Un paese.

«Fare comunità: è questo il senso del teatro» dirà il direttore dei Cantieri teatrali Koreja Salvatore Tramacere. Una comunità intera che si chiama a raccolta sotto l’impeto di una domanda urgente, necessaria, al crepuscolo di una storia, all’alba di un’altra. In piazza San Nicola una piccola ballerina adagia un lenzuolo immacolato sull’ultimo tronco d’ulivo. Attori, bandisti, cantanti e ballerini salutano il carretto che parte. Quale strada lo attende? Tornerà mai? La risposta, in fondo, non è ciò che importa questa notte.