Il Dentice di Frasso di San Vito dei Normanni. Benvenuti a casa di un vero principe. Cresciuto tra queste mura, oggi Giuliano Dentice di Frasso apre i salotti di famiglia ai visitatori

(Questo articolo è stato pubblicato con un altro titolo su Nuovo Quotidiano di Puglia, luglio 2016)

Castelli/2

Il Dentice di Frasso di San Vito dei Normanni. Benvenuti a casa di un vero principe. Cresciuto tra queste mura, oggi Giuliano Dentice di Frasso apre i salotti di famiglia ai visitatori

Ad accogliere il visitatore che imbocchi via Crispi, seguendo la direzione delle mura che squadrano piazza Leonardo Leo, ci sarà un signore sorridente, con tutta probabilità vestito in jeans e maniche di camicia, appoggiato con nonchalance all’uscio di casa. E «nel giardino di casa» farà accomodare l’ospite. Di una dimora, in effetti, si tratta, e tuttavia decisamente sui generis: sì, perché l’imponente ingresso ogivale è quello del castello Dentice di Frasso di San Vito dei Normanni, e l’ospite-anfitrione è il principe Giuliano Dentice di Frasso. Nato e cresciuto tra queste mura la cui storia coincide, anzi, determina, quella dell’intero paese.

Nel dodicesimo secolo fu la Torre di Boemondo il Normanno a segnare la presenza verticale del potere sulla piana del territorio sanvitese. Intorno alla torre si sviluppò il castello, e intorno al castello nacque il borgo di San Vito degli Schiavoni, poi dei Normanni. Dai Sambiasi la proprietà passò nel ‘400 ai Del Balzo Orsini, e via via, per matrimoni e altre indistricabili vicende, giunse ai Dentice di Frasso.

Ancora oggi, Giuliano Dentice di Frasso per tutti qui è “il principe”, ma vorrebbe tanto, dice, «esser chiamato per nome». Così, le antiche mura intessute di rampicanti, i pavimenti di ceramica di Vietri e le stanze imprigionate, come per sortilegio, in un frammento temporale di oltre un secolo fa divengono il terreno di gioco di una nobiltà da “guadagnare”. Come? Condividendo le storie familiari e le loro tracce con chi passa da qui, e trasformando il castello in un’attività del ventunesimo secolo. Delle oltre trenta stanze che lo compongono, una quindicina è visitabile su prenotazione, mentre altre tre sono destinate a bed and breakfast.

Si comincia dal giardino, dove l’altezza delle palme gareggia con due enormi alberi che sembrano zampe d’elefante: un’eredità, racconta il padrone di casa, del suo prozio, che amava fare lunghi viaggi in Africa. Anche i saloni al primo piano sono un inedito mix di storia da manuale e interni privati. Poco distanti dalle foto di Giuliano e Fabrizia Dentice di Frasso, radiosi nel giorno del loro matrimonio, quelle di Vittoio Emanuele III e consorte, dei reali di Danimarca, tutti passati da qui, e ancora Tara Gandhi e Virna Lisi, ospiti recenti, quest’ultima in occasione delle riprese del film “Latin lover”. Film, spot, e presto un videoclip, ancora top secret, con una celebre cantante italiana: ecco la nuova vita del castello.

In realtà, anche i salotti più eleganti non richiamano uno stacco netto tra il presente e un passato da museo: «sarà perché qui pranzavamo davvero, finché c’era mio padre» commenta il principe indicando un tavolo di legno intarsiato. Impossibile, invece, non fantasticare a occhi aperti nel “Fumer” e nella “Sala delle dame”, vere “stanze dei giochi” d’altri tempi per uomini e per donne: la prima destinata alle riunioni e, appunto, al fumo dei signori, la seconda, con un grande divano color corallo e lampadari fioriti, agli svaghi eruditi delle signore. Alle pareti, ritratti di antenati e i carboncini del pittore austriaco Pausinger si fanno spazio tra trofei di caccia dalla vecchia Cecoslovacchia, anche questi cimeli di famiglia. Così come i libri: tedeschi, francesi, pochi italiani, perché la formazione dei rampolli doveva tenere salde le ascendenze familiari. Persino le tate, spiega Dentice, sono state tutte austriache tranne la sua.

Dopo il giro nel “privato nobiliare” della casa-castello, anche l’antica torre sembrerà vestirsi di quei ricordi. Nella cappella dedicata a San Vito, custode dello stemma araldico con il dentice e il motto “Noli me tangere”, riecheggiano le preghiere della domenica. L’ultimo piano, che un tempo ospitava le prigioni, ancora oggi, inaccessibile com’è, sembra avvolto dal mistero che colpiva il giovane Giuliano.