L’osceno delle riprese

Un oratorio e un cinema porno. Due giornate sul set de “La vita in comune” di Edoardo Winspeare
L’“osceno” delle riprese

 L’appuntamento è al mattino presto, in calendario un Consiglio comunale che si preannuncia infuocato. “Disperata” è un paesino che non esiste, disegnato da una sommatoria di case e piazze sparse tra Tiggiano, Corsano, Gagliano, Acquarica, Tricase. È nessuno, oppure tutti i centri minimi del Capo di Leuca che nelle ultime cinque settimane hanno ospitato le riprese del film di Edoardo Winspeare. “Una vita in comune”, è alluso nel titolo, è la vita amministrativa di un paese di poche anime in cui passione politica, lavoro – al peggio, interesse – e rapporti di famiglia si mescolano in un gioco necessario, a volte sfiancante. La scena che si girava ieri a Corsano sembrava esemplare: una resa dei conti tra la “pasionaria” Eufemia-Celeste Casciaro e il malinconico sindaco Filippo Pisanelli-Gustavo Caputo, tra consiglieri e assessori intemperanti: Ippolito Chiarello, Salvatore Della Villa, Marco Antonio Romano. Intorno, il movimento “invisibile” dei tecnici – 49 in tutto, un’unica “macchina umana”.

Entrare nello spazio di un set cinematografico ha sempre, in sé, il gusto misterioso e semi-proibito del “giardino segreto”. Ci si sente in una dimensione sospesa, nell’oratorio della chiesa di San Biagio divenuto per l’occasione il Comune di Disperata. Una dimensione quasi “surreale” era invece quella che, pochi giorni prima, accompagnava le riprese al Cinema Lory di Acquarica del Capo: non un cinema qualunque, ma l’ultimo cinema a luci rosse ancora attivo nel leccese.

Affacciarsi dall’alto della galleria dava, paradossalmente, una sensazione non diversa da quella che sarebbe tornato a incutere il posto a riprese finite: “l’osceno”, letteralmente il “fuori scena”, è ciò a cui si assiste in entrambi i casi. Persino chi aveva affittato la sala osservava i lavori con aria talmente “pudica” da ricordare il bambino di “Nuovo Cinema Paradiso”, più che il proprietario di un cinema porno.

Le fotografie di scena immortalano la giornata. Winspeare sembra un capo villaggio di altri luoghi ed epoche, di una pacatezza ieratica, dalla sua postazione sul palchetto. A “raddrizzare” troupe e cast con un piglio e un timbro inconfondibili pensa l’efficientissimo aiuto regista Miguel Lombardi, lombardo anche di provenienza. In platea, sotto fari potenti, si alternano le coppie di “Eufemia” e “Filippo” e quella dei due fratelli Angiolino (Antonio Carluccio) e Pati Rrunza (Claudio Giangreco). La scena si ripete almeno una decina di volte, e fa specie osservare la straordinaria pazienza del “gigante” Carluccio che solo più tardi, quando farà il suo ingresso nel ristorante di Presicce che ospita la troupe, ritroverà il suo piglio da “personaggio”.

Si divertono a fare il gioco delle parti anche Gustavo Caputo e Celeste Casciaro. «Sono due anni che ci inseguiamo», scherza Gustavo, alludendo alla trama del film, e del precedente “In grazia di Dio”.

Il 2 giugno il paesino, battuto da una luce zenitale, è quasi deserto. Gli anziani si affacciano sulla soglia per prendere un po’ d’aria più che per curiosare: ormai Winspeare e la sua crew sono parte integrante dell’ambiente. Più tardi, durante la pausa, anche il giovane “Biagetto”-Davide Riso “dimenticherà” di essere un attore, e farà il caffè a tutti gli ospiti.

I confini tra i ruoli, come tra il dentro e il fuori, sono labili su questo set. Il perché lo spiega lo sceneggiatore Alessandro Valenti: «Il cinema è un grande cinema quando riesce a osservare la realtà, capirne l’anima e trasformarla in una dimensione poetica – dice – noi abbiamo voluto compiere la stessa piccola rivoluzione che raccontiamo nel film, un’autentica “vita in comune”».

 

(Questo articolo è stato pubblicato con un altro titolo su Nuovo Quotidiano di Puglia, giugno 2016)