Il controesodo verso il Salento

(Questi articoli sono stati pubblicati con altri titoli su nuovo quotidiano di Puglia, gennaio 2016)

Direzione Salento. Alessandra Crocco, attrice, dopo tre anni a Milano ha trovato a Lecce il proprio trampolino di lancio

«Qui c’è spazio per il teatro contemporaneo. Una città più viva di altre del Meridione»

La prima stazione a Nord, alla volta di un circuito affermato, poi, di virata, il cambio di direzione verso un Sud profondissimo ma ribollente di nuovo fermento. Quando ha scelto di saltare sul treno del teatro professionale, Alessandra Crocco è salita su una carrozza diretta a Lecce. E vi ha trovato un luogo accogliente per stabilire la propria dimora d’artista.

«Ho cominciato a fare teatro fin da bambina, a Salerno- racconta – poi dopo aver concluso gli studi universitari a Napoli mi sono trasferita a Milano: non volevo prendere una decisione vera e propria sul mio percorso da attrice, così mi sono lasciata richiamare da alcuni contatti che avevo in città, e dal contesto milanese, che sicuramente offre buone occasioni. Finita la scuola biennale diretta da due allievi di Jacques Lecoq ho trascorso mesi difficili, di grandi dubbi, finché ho saputo di un corso di formazione importante, organizzato nell’ambito di un progetto interregionale, con sedi in varie città. Mi sono presentata al provino dei Cantieri Koreja e sono stata presa».

Della città, sino ad allora, le erano giunti solo le cartoline e i racconti “estivi” delle amiche venute in vacanza, invece i nomi di Iben Rasmussen, Gabriele Vacis, Eugenio Allegri e degli altri insegnanti del corso, punti di riferimento per il teatro contemporaneo, li conosceva benissimo. Tanto le è basato, a ottobre 2007, per fare le valigie e traslocare oltre mille chilometri più a Sud.

Otto ore al giorno tutti i giorni, in tutto novecento ore sino al maggio successivo. Una palestra fatta di rigore e fatica, ma che allo stesso tempo rappresentava un varco che dalla periferia si apriva verso una rete multiforme di opportunità. Tanto che, proprio a Lecce, sono iniziati i primi progetti professionali veri e propri. «A Koreja si era aperta la possibilità di subentrare ad altri attori nello spettacolo “Giardini di plastica” – racconta – dopo sono venuti altri spettacoli e un progetto culturale di diffusione della drammaturgia francese. Nel frattempo, ho iniziato a tenere io stessa laboratori nelle scuole salentine, che sono molto ricettive verso il teatro. Anche tra i compagni di corso ho incontrato persone interessanti, con cui tutt’oggi lavoro. Insomma, non sono più andata via».

A fare la differenza, per la sua carriera, è stato l’equilibrio dinamico tra l’ispirazione offerta da un angolo di mondo a misura d’uomo quale è Lecce e il circuito più vasto in cui la città ha saputo inserirsi negli ultimi anni. Tanto che, dopo un lungo periodo di “apprendistato” in compagnia, da un paio d’anni Alessandra Crocco porta avanti un progetto tutto suo legato ai Demoni di Dostoevskij, “Fine di un romanzo”, che coinvolge colleghi leccesi e non solo. Nato nei “tempi vuoti” delle altre prove, è riuscito a inserirsi nel Fringe Festival di Napoli, banco di prova prima del debutto leccese vero e proprio, che si terrà a Koreja il prossimo 30 gennaio. Lecce, ribadisce, è un contesto abbastanza “maturo” per essere trampolino di lancio per un attore, anche se il dato geografico continua a pesare. «È una città viva, non c’è paragone, ad esempio, con la mia Salerno – commenta – qui c’è una scena dedicata al contemporaneo, gli spettacoli del sabato sono un appuntamento fisso per molti giovani, fioriscono laboratori, Certo, non posso dire che non si avverta la periferia: nelle grandi città si riesce ad assistere alla nascita dei nuovi progetti, mentre qui di solito questi arrivano solo dopo essersi consolidati. Molte cose potrebbero funzionare meglio, ma tutto sommato si vive benissimo e l’ambiente offre grande ispirazione».

Giulio Avanzini, docente di Meccanica del volo all’Università del Salento, testimonia il “controesodo” degli italiani da Nord a Sud. Ma non distoglie lo sguardo da discariche a cielo aperto e disorganizzazione

«Salento, una terra sempre a un passo dal paradiso»»

Lasciarsi alle spalle i grandi teatri, una vita mondana che fa tutt’uno con comunità e cultura, e non ultimo il prestigio del Politecnico: in breve, lasciarsi alle spalle Torino per scendere a Sud, in un “salto nel buio” per la carriera e il proprio stile di vita. Giulio Avanzini, docente di Meccanica del volo all’Università del Salento, quel salto lo ha fatto cinque anni fa, seguendo il richiamo di un “bagliore” che veniva dall’ambiente salentino: un distretto aerospaziale d’eccellenza, un ambiente accademico giovane e la prospettiva di una quotidianità a misura d’uomo. Una storia che testimonia come sia possibile, in fondo, mettere in discussione la mappa consolidata dei circuiti “che contano”, se un romano, da tredici anni al Politecnico di Torino, sceglie il Salento come propria meta.

«Ho approfittato della ribalta nazionale per dare un messaggio positivo – commenta Avanzini – nel Salento si può lavorare bene, quantomeno nel campo dell’ingegneria aerospaziale. Un mio cruccio è la diaspora degli studenti più bravi che vanno al Nord con il mito dei Politecnici: Torino è un’ottima scuola, ma nel mio settore anche qui c’è un ambiente stimolante, con docenti provenienti da ogni parte d’Italia, e la qualità dell’insegnamento non ha nulla da invidiare ad altri».

È stata questa la prima molla del suo “salto”. «Al Politecnico ero ricercatore a tempo indeterminato e avrei potuto partecipare a un concorso da associato – racconta – ma a Lecce si era aperta la possibilità di un posto da ordinario. E sapevo che il territorio ospitava una realtà industriale importante. A febbraio 2011 ho ricevuto una chiamata con cui mi si chiedeva di iniziare a lavorare entro due settimane. Mi sono buttato».

Nonostante la sede dei corsi di Ingegneria aerospaziale fosse la Cittadella della ricerca, Avanzini e sua moglie non hanno avuto dubbi sul luogo da eleggere a propria residenza: «Brindisi non ci ha colpito, ci sembrava una città con molta periferia, mentre era evidente la vivacità di Lecce, la possibilità di vivere il centro, che tutto sommato è pedonalizzato». Non è stato difficile rinunciare ai circuiti culturali torinesi e al fascino delle montagne: «Non ero mai stato in Puglia, conoscevo il Barocco leccese e poco altro. In seguito sono rimasto stupefatto dalla bellezza di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina, o dall’esistenza della Grecìa salentina, che ignoravo completamente. L’offerta di musica e teatro è di tutto rispetto, come quella dei Cantieri Koreja»

Ma come ogni grande amore, al “colpo di fulmine” iniziale seguono i pro e i contro di una relazione stabile. «A distanza di cinque anni posso fare un bilancio – commenta – il Salento mi sembra un luogo a un passo dal paradiso, che però non riesce a raggiungere mai. Io che amo la bicicletta non mi spiego perché a Lecce le piste ciclabili siano spesso mozziconi che finiscono nel vuoto; poi arrivo in campagna, e vedo il bellissimo paesaggio deturpato da tante piccole discariche abusive, e questo non è imputabile alle Amministrazioni locali. Il calore umano qui si sente, ma ci sarebbe da lavorare sul senso di comunità».

Stesso discorso per le attività culturali: «Ho trovato scandaloso che, proprio nell’anno in cui Lecce è stata Capitale italiana della cultura, l’orchestra Ico Tito Schipa abbia saltato una stagione. Ma mi ha molto sorpreso, anche, non vedere colleghi dell’Università a teatro. A Torino ci si ritrovava tutti insieme, grazie al progetto “Polincontri”, una sorta di dopolavoro che riuniva professori e dipendenti. A Lecce, azzerare questo “scollamento” farebbe bene alla città».