Dove lo scambio non è solo questione di mercato

(Questo articolo è stato pubblicato con un altro titolo su Salento Review, dicembre 2015)

Teli batik, curcuma e curry, l’ora del the e quella della preghiera, la Biblioteca multietnica, una tomba egizia in vetroresina. Il Mercatino delle arti e delle etnie a Lecce. Un luogo in cui l’economia cortocircuita con la cultura, declinata al plurale

Dove lo scambio non è solo questione di mercato

Ad accogliere chi oltrepassa i pilastri d’ingresso, una schiera di statue egizie di una imperturbabile serenità, non si sa se di rigore o di sorriso. Una suggestione che invita a entrare, ma sembra richiamare anche, vagamente, al rispetto della soglia. Un uomo si avvicina con la bonarietà dell’ospite: “Le ho fatte arrivare qua io” annuisce fieramente. Poco più avanti, un gruppetto dibatte sui particolari della festa indiana prossima a venire: “Sta’ zitto tu, staresti bene truccato col kajal” ammonisce la giovane srilankese, punzecchiata dal suo vicino iraniano. Al Mercatino delle arti e delle etnie di viale Aldo Moro a Lecce va sempre così.

L’uno accanto all’altro, donne, uomini, merci e opere d’ingegno dei cinque continenti – senza escludere l’Italia – convivono in un sottile equilibrio che si negozia e di rinnova ogni giorno, tra una ciotola di curry e un telo batik, tra l’ora del the e quella della preghiera. Un luogo in cui l’economia cortocircuita con la cultura, declinata al plurale. Il mercato, qui, è solo una parte della faccenda: chi vi aderisce, e chi vi approda, sigla un “patto non scritto” di messa in comune, scambio, e – perché no? – contaminazione.

Inaugurati lo scorso giugno dopo anni di un limbo silenzioso, rotto da saltuarie polemiche, quei trentacinque box, messi a disposizione dal Comune di Lecce a un canone simbolico, sono oggi un work in progress per l’economia di una comunità crescente della città, ma anche un esperimento culturale che travalica lo stesso progetto iniziale. Perché è la quotidianità della routine, con la vicinanza di bottega e il comune obiettivo del lavoro siglato da un consorzio ad hoc, a produrre relazioni inedite e talvolta inaspettate.

Mohsen Ahmed, egiziano da sei anni nel Salento ma viaggiatore di lungo corso in giro per l’Europa, al Mercatino ha voluto portarci la sua storia e il suo cuore. Vendere papiri con i geroglifici delle piramidi non poteva bastare a lui, che del fascino di quella storia ha fatto per anni un lavoro, operando come guida turistica. Così, ha preso tre box sul lato sinistro della piazza per trasformarli nientemeno che nella tomba di Tutankhamon: c’è la statua di Anubi che protegge il Regno dei morti, il sarcofago del re, la cassa del tesoro, realizzati negli anni Settanta in Egitto. Un ambiente unico, che “potrebbe richiamare anche le scolaresche” spiega Mohsen, mentre fa strada verso la camera funeraria varcando un piccolissimo accesso.

Poco distante, Husseni Harbabi vende tappeti pregiati e oggettistica, nel tempo di mezzo tra un’attività culturale e l’altra curate per il Touring iraniano.

Un aroma di curry e curcuma lo accompagna dal mattino alla sera, ma è quello della sua “vicina”, Keruthika Thillaivasan, srilankese da oltre vent’anni in Italia, l’unica a vendere spezie. “Si è come una famiglia – dice – certo siamo molto diversi, ma questo non ci impedisce di prendere il the insieme tutti i giorni, e poi abbiamo l’Italia in comune”.

Una parte di quell’Italia, la stessa, probabilmente, a cui sorridono gli occhi di Keruthika, ha deciso di fare casa qui: giovani artigiani locali che hanno aperto laboratori e atelier. Come Chiara Spinelli ed Emanuela Bartolotti, illustratrici: “Non diciamo che sia sempre facile – spiegano – c’è chi non beve vino, chi non mangia carne, chi ha appartenenze religiose più o meno marcate, ma la progettazione comune delle iniziative contribuisce a smussare le diversità”.

Una vera prova, in tal senso, è il “Natale in riva al mondo”, una “maratona” di feste e appuntamenti dall’Immacolata alla Befana dei bambini del mondo, passando per il Capodanno dei popoli.

Una “casa comune”, rigorosamente autogestita, dal Senegal all’India, dall’Etiopia alla Tunisia, al Marocco, al Senegal: di tutti loro, e del bagaglio di storie e culture che portano con sé, racconterà la Biblioteca multietnica, il progetto con cui Carlo Mileti, della Bottega del Commercio equo e solidale, intende contribuire a questa scommessa. I libri, spiega, vengono da tutti i Paesi rappresentati, grazie alla collaborazione con le varie Ambasciate.

Un modo per capovolgere la sorte di “periferia” dello spazio, lontano dai luoghi “caldi” del commercio e del divertimento, concepito “come un parcheggio” – denuncia Mileti – con strane saracinesche al posto delle porte, eppure in grado di ridisegnare un nuovo centro, che si opponga ai non-luoghi asettici del mercato: un luogo di non-separazione tra centri, culture e lavoro, in città come, nella piccola utopia del Mercatino, tra Nord e Sud del mondo.