Gilles Clément: «Mettere in atto lo spaesamento per un nuovo rapporto con la città»

(Questo articolo è stato pubblicato con un altro titolo su Nuovo Quotidiano di Puglia)

Gilles Clément, il paesaggista-filosofo, a Lecce per la quinta edizione degli “Incontri del terzo luogo”

«Mettere in atto lo spaesamento per un nuovo rapporto con la città»

Un prato incolto come un semaforo verde acceso sul territorio della possibilità. Parola di Gilles Clément, il paesaggista-filosofo che ha rivoluzionato il rapporto tra spazio umano e spazio naturale con la proposta di un nuovo sguardo sui luoghi, libero dai relitti della modernità, inedito, «spaesato». “Spaesamenti” è il titolo della quinta edizione degli “Incontri del terzo luogo”, l’atelier delle Manifatture Knos di Lecce ispirato al “Manifesto del terzo paesaggio” di Clément. Ieri l’ultima giornata del laboratorio che ha messo a confronto professionisti, attivisti e comuni cittadini intorno alla domanda aperta sul rapporto tra persone e spazio urbano. “Terzo luogo”, il libro-intervista a cura di Michele Bee che inaugura le Edizioni Knos, recupera ora l’esperienza avviata nel 2012 con la presenza di Clément a Lecce. Da allora, racconta Clément, la città è stata il campo di sperimentazione di un lungo lavoro che ha prodotto “best practice” esportate nel mondo.

Torna a Lecce dal 2012: qual è il bilancio dell’esperienza condotta alle Manifatture Knos?

«Ci sono diversi luoghi ormai in cui ci si occupa della questione del terzo paesaggio, ma ciò che differenzia le Manifatture Knos è che qui si passa direttamente all’azione in modo organizzato. In Bosnia, dove abbiamo un atelier con Paysagiste sans frontiere, bisogna spiegare ai cittadini il nostro lavoro, mentre a Lecce c’è tutto un tessuto sociale per il quale il concetto è più che familiare. Parlo dell’esperienza delle Knos in tutto il mondo, anche perché mi è possibile mostrare le immagini del lavoro concreto portato avanti sin dal 2012. La sperimentazione sulla spianata d’asfalto alle Knos, in particolare, ha ispirato il lavoro in corso a Place de la Nation, nel cuore di Parigi, dove si sta smantellando il manto stradale per far posto a un giardino».

Spaesamenti” è il titolo di questa edizione dell’atelier. Quali spaesamenti avete attraversato, quale bagaglio riportate?

«Per me lo spaesamento è un arricchimento perché ci permette di modificare il nostro sguardo. Il viaggio e lo spaesamento si assomigliano: viaggiare significa comprendere meglio dove si abita quando si ritorna a casa propria. Senza il viaggio molto di questo ci sfugge, perché non abbiamo un punto di confronto. Lo spaesamento gioca lo stesso ruolo. A differenza del viaggio, tuttavia, ci si può spaesare semplicemente lavorando sullo sguardo, anche senza spostarsi».

Le cave di Borgo San Nicola sono state un laboratorio privilegiato. Che cosa è avvenuto?

«Siamo riusciti a entrare in dialogo con gli abitanti, e poco alla volta a far accettare loro questo spazio, viverlo con i loro bambini e i loro cani. Eppure all’inizio lo consideravano un luogo ostile, pieno di rovi, una discarica, avrebbero voluto piuttosto dargli fuoco. Oggi, lo spazio più brutto resta quello che in teoria è stato sistemato, con il campetto e le griglie».

Si tenta di riqualificare gli spazi abbandonati per permettere alle persone di frequentarli: lei ci dice che vanno lasciati così come sono. In che modo relazionarsi a uno “spazio di indecisione” ?

«Si tratta di modificare un modello culturale: le persone oggi sono abituate all’idea che un terreno abbandonato non vada bene, non sia bello. Ma una volta mostrata loro la ricchezza che c’è là dentro, una volta fatto un lavoro che parta dal disegno spaziale del luogo tale da mettere in scena questa ricchezza, allora le persone sono pronte ad accettarla».

A Lecce è in corso l’iter per l’approvazione del nuovo Pug. Lei frequenta la città da anni: in quale direzione, secondo lei, dovrebbe correre lo sviluppo urbanistico e paesaggistico?

«Innanzitutto, è importante che qualunque Pug consideri una dimensione pedagogica. È a partire da questa che le persone cambiano lo sguardo sulla loro città. In tutto il mondo c’è stata una grave perdita dell’insegnamento sul vivente, i cittadini oggi sanno utilizzare un computer ma non sanno dove abitano: non sanno, solo per fare un esempio, perché la Xylella sta divorando tutto qui in Puglia. Il futuro dell’umanità dipende da questa conoscenza. Una città ha bisogno di coltivare una dimensione pedagogica, e questa si può mettere in atto sia in un parco ben rifinito quanto in uno spazio abbandonato».

Il concetto di “terzo paesaggio” sembra tornare d’attualità qui nel Salento, a San Foca, dove è in corso una protesta contro l’approdo del gasdotto Tap. Che ne pensa?

«È un problema comune ovunque nel mondo si vogliano realizzare trasformazioni molto violente e brutali. Il punto è che non viene considerata per nulla l’idea di un decentramento energetico: ciascuno oggi potrebbe produrre la propria energia attraverso sole e vento e non ci sarebbe bisogno del gas. Il problema è che le multinazionali non potrebbero più vendere l’energia per cui voilà, si preferisce distruggere il paesaggio. Questa è una traccia concreta di quella che io chiamo “stupidocene”, l’epoca attuale iniziata nel diciottesimo secolo».

Argentina: «Generazione senza prospettive, così si diventa precari con la mente»

(Questo articolo è stato pubblicato con un altro titolo su Nuovo Quotidiano di Puglia, aprile 2017)

Argentina: «Generazione senza prospettive, così si diventa precari con la mente»

Vita e lavoro. Per un tarantino come lui, un binomio quasi obbligato e difatti Cosimo Argentina ne ha fatto la cifra principale della sua scrittura. L’autore ne ha parlato nella due giorni a lui dedicata all’Università del Salento, ospite del ciclo Working class. Seminari su fabbriche, lavoro e nuove scrittureorganizzato dal Centro di ricerca poesia contemporanea e nuove scritture. Dopo il focus sulle serie televisive, l’appuntamento è stato con l’indagine sui multiformi retroscena del lavoro avviata da Argentina. Il tracciato degli asfissianti vicoli di Taranto rossi come il ferro è la pista privilegiata dallo scrittore, così come le molte precarietà che danno una consistenza scivolosa al futuro di chi è giovane oggi. Argentina frequenta il mondo reale delle persone e dei luoghi in cui vivono, si pone in ascolto, sollecita una narrazione che scavi nel territorio autentico delle relazioni e delle scelte, che a un’ottica tanto ravvicinata appare naturalmente intessuto di contraddizioni e conti che non tornano. Un lungo filo rosso cuce così Taranto alla Brianza, dove vive e lavora come docente di Diritto ed Economia a scuola e a cui ha dedicato il romanzo Brianza vigila, Bolivia spera (No Reply 2006)

da “Il cadetto” (Marsilio 1999) a “Cuore di cuoio” (Sironi 2002), da “Maschio adulto solidario” (Manni 2008) a “Vicolo dell’accaio” (Minimum Fax 2013) – solo per citare alcuni dei suoi titoli più noti – si comprende quindi l’“humor nero” di Argentina, uno sguardo sulle cose che ha il sorriso tipico dell’intimità profonda e il ghigno della disillusione. Una “scrittura dinamite”, come è stata definita: graffiante, corporea, irriverente, sincera.

Lavoro e vita corrono di pari passo. Il protagonista di “Maschio adulto solitario” (2008) è un giovane precario alienato: è la precarietà a compromettere la possibilità delle ultime generazioni di sentirsi “adulte”?

«La precarietà in sé non è un male, è una posizione di passaggio se si vuole necessaria. Certo, io ho fatto 29 anni di precariato nella scuola, ma questo è un caso limite. La precarietà io la accetto, la prendo in considerazione e in esame: oggi non c’è più la possibilità di entrare alle Poste a 18 anni poste e uscirne a 65. Tuttavia, è essenziale che insieme alla precarietà ci sia la prospettiva di realizzare qualcosa, ed è questa che manca oggi. Se insieme alla precarietà non c’è la prospettiva, allora si diventa precari anche mentalmente, non ci si evolve, e questo percorso diventa una fregatura».

Parliamo di lavoro e ambiente. Nel ’59 Pierpaolo Pasolini di passaggio da Taranto la definì “la città perfetta”, pochi anni più tardi sarebbe stata inaugurata l’Italsider, poi Ilva. In “Vicolo dell’acciaio” (2010) lei racconta la devastazione della città operata dal colosso industriale. Il cambiamento è stato anche culturale?

«Certo. Il principale è stato far pensare ai tarantini che avrebbero avuto per l’eternità una sorta di stampella, e che non avrebbero dovuto sbattersi più di tanto perché, magari con una raccomandazione, avrebbero trovato un posto con dodici, tredici o quattordici mensilità. È morta di fatto l’idea di un coraggio imprenditoriale che puntasse a valorizzare un territorio che aveva già in sé le sue potenzialità. Ecco, questo è stato un effetto insieme culturale e di ulteriore impatto sul territorio».

Lei insegna Diritto a scuola. Che cosa le sta a cuore trasmettere ai suoi ragazzi, che tra qualche anno dovranno confrontarsi con il mondo del lavoro?

«Innanzitutto ripeto loro che ogni attività umana, anche la più pallosa, ha un risvolto piacevole che vale la pena di coltivare, per cui sarebbe bello se ci si disponesse ad affrontare il mondo dando spazio alla fantasia e al piacere. Poi, è importante cercare di fare qualcosa che piace e in cui si è bravi. Una volta si diceva “evita quella facoltà perché è satura, iscriviti a quell’altra così trovi lavoro”: oggi questi discorsi non hanno più senso. Meglio investire le proprie energie in qualcosa per cui si è portati e in cui, per questo, è più facile raggiungere un buon livello. E infine, cerco di far capire ai miei ragazzi che il periodo scolastico è essenziale perché è quello in cui loro creano il proprio stile personale, che si porteranno dietro tutta la vita, al di là dei singoli contenuti appresi a scuola».

Tornando ai suoi romanzi: c’è un progetto a cui sta lavorando ora?

«Sì, come faccio del resto da trent’anni in qua. Ormai scrivo 365 giorni all’anno, non so fare altrimenti. Al momento sto lavorando a una storia ambientata ancora una volta a Taranto, che riguarda un ragazzino delle medie. Il mio romanzo “Cuore di cuoio” aveva per protagonista un ragazzo delle superiori, “Maschio adulto solitario” uno che aveva appena finito l’università: mi mancava un pezzetto. Chissà che non arrivi un giorno a scrivere di un bimbo in culla».

Mastandrea: «Affronto i miei film come persona prima che da attore»

(Questo articolo è stato pubblicato con un altro titolo su Nuovo Quotidiano di Puglia, aprile 2017)

Al Festival del cinema europeo l’Ulivo d’oro alla carriera a Valerio Mastandrea, protagonista del cinema italiano impegnato e fuori dagli stereotipi

Mastandrea: «Affronto i miei film come persona prima che da attore»

Applausi per il cinema italiano impegnato, dissidente, quello “che non si basta” e continua a cercarsi oltre gli stereotipi d’immaginario. È questo il tributo che il Festival del cinema europeo di Lecce ha riconosciuto ieri alla carriera di Valerio Mastandrea, l’attore romano che ha interpretato molti dei migliori film d’autore degli ultimi vent’anni. Continua

Carlo Croccolo: «Totò maestro severo e inimitabile»

(Questo articolo è stato pubblicato con un altro titolo su Nuovo Quotidiano di Puglia, aprile 2017)

Carlo Croccolo: «Totò maestro severo e inimitabile»

«Consigli a chi comincia oggi? Gli direi di lasciar perdere. Nessun sostegno dai Governi a spettacolo e cultura»

È iniziata con un omaggio alla storia del cinema italiano la diciottesima edizione del Festival del cinema europeo, la manifestazione che per una settimana porta l’Europa sugli schermi del Multisala Massimo di Lecce. Ieri sera davanti a una sala gremita le proiezioni sono state inaugurate dalla consegna dell’Ulivo d’oro alla carriera, simbolo delle radici di Puglia, a una delle “radici” del cinema italiano, Carlo Croccolo, attore teatrale e cinematografico, storico partner di Totò in film memorabili come “Miseria e nobiltà” e “Signori si nasce” e anche suo doppiatore. Continua

Candido è il desiderio

Mario Desiati. Con “Candore” (Einaudi) una proposta di “riabilitazione dello sguardo” attraverso la pornografia

Chi arriva a “Candore”, l’ultimo romanzo di Mario Desiati (Einaudi 2016), da un passaparola pruriginoso resterà frustrato. Chi vi arriva cercando l’autore di “Ternitti” e “Il paese delle spose infelici”, resterà sconcertato. «Riesco sempre a deludere tutti» ironizza lo scrittore originario di Martina Franca, da sempre insofferente alle etichette e spinto piuttosto dalla necessità di sondare luoghi sconosciuti allo sguardo che dalla gratificazione di un itinerario già battuto. Così, dopo “Mare di zucchero” (2014) il libro che racconta ai ragazzi la storia degli albanesi approdati in Puglia, Desiati torna al romanzo per fare incursione nella galassia del porno. Nightclub, film hard, camere in affitto, panchine, ma anche solitari streaming video sono i set di questo viaggio dantesco tra i moderni lussuriosi. Continua

Lagioia: «Workshop, eventi off e musica: ecco il mio Salone»

Il neo direttore Nicola Lagioia anticipa le principali novità del Salone del libro di Torino 2017

Di professione fa lo scrittore, ma non c’è stanza della vasta casa dell’editoria che non abbia attraversato. Premo Strega 2015 con “La ferocia”, Nicola Lagioia è direttore della collana “Nichel” di Minimum Fax e, per anni, ha fatto anche l’editor; oltre a scrivere per Repubblica e Internazionale cura la rassegna stampa culturale di Pagina 3 di Radio 3; organizza manifestazioni culturali – l’ultima, “Le relazioni meravigliose”, a Bari dal 19 gennaio al 20 aprile. Il nuovo direttore del Salone del libro arriva a Torino con le spalle larghe e, per l’evento che si tiene dal 18 al 22 maggio promette cambiamenti importanti, a cominciare dalla rete di «reading, incontri e musica» disseminata per la città. Certo, il suo incarico coincide con un anno determinante per l’evento torinese, reduce dalla scissione con i grandi gruppi editoriali e destinato alla competizione con “Tempo di libri”, la Fiera dell’editoria di Milano, quest’anno alla sua prima edizione. Continua

Buen retiro o business, destinazione Salento

(Questi articoli sono stati pubblicati con altri titoli su Nuovo Quotidiano di Puglia, novembre 2016)

Il mondo nel Salento/1

Import-export e compravendite immobiliari danno lavoro agli occidentali del Nord approdati in Puglia. Ma l’apertuda di un bed and breakfast e l’affitto saltuario della camera degli ospiti sembrano essere l’attività tipica di chi arriva qui mollando tutto, con la prospettiva di una vita “slow”

In piazza Salandra, a Nardò, tavolini a raggiera intorno alla grande fontana centrale, all’ora dell’aperitivo è un fioccare di “hi!” e “how are you?”. Inglesi e qualche amico d’Oltreoceano arrivano dalle viuzze d’intorno e prendono posto al rituale lento della convivialità made in Sud, che guai a chi glielo tocca. Nel centro storico di Galatina si ritrovano nei ristoranti, sull’uscio delle botteghe artigiane, fanno combriccola persino davanti ai piccoli market resistenti alla modernità. A Lecce la comunità internazionale si dà appuntamento nei pub, ma è disseminata ovunque. Continua

Seminario Tondelli. Sesso, droga, malattia, impegno: corpo e politica di Boccaloni e libertini

Seminario Tondelli, quattordicesima edizione, Correggio, Palazzo dei Principi, 13 dicembre 2014
Sesso, droga, malattia, impegno: corpo e politica di Boccaloni e libertini

I romanzi d’esordio di Enrico Palandri e Pier Vittorio Tondelli, Boccalone e Altri libertini, sono
oggetto di un tradizionale raffronto da parte della critica, che ne ha individuato una comune origine nel
contesto storico-culturale dell’Emilia di fine anni Settanta. Non sono pochi, in effetti, gli elementi che legano
i due autori, come ha evidenziato puntualmente Sciltian Gastaldi in un intervento tenuto in occasione del
Seminario Tondelli nel 20092. Entrambe vengono pubblicate negli anni immediatamente successivi all’onda
rivoluzionaria del ’77, a pochi mesi di distanza l’una dall’altra: Boccalone esce nel ’79, Altri libertini nel
gennaio dell”80; una sorprendente vicinanza biografica lega i due autori: al loro esordio hanno ventitré e
ventiquattro anni, studiano al Dams di Bologna, hanno frequentato gli stessi corsi – nonostante, come
testimonia lo stesso Palandri nella sua monografia dedicata a Tondelli, i due si conosceranno solo in seguito,
nella primavera dell’80, in una serata organizzata a Carpi dalla biblioteca comunale3. L’elemento anagrafico,
così come quello geografico – richiamo ancora l’intervento di Gastaldi – sono determinanti per le tematiche
sviluppate nelle due opere, le quali condividono l’ottica giovanile, la centralità dello scontro generazionale, il
desiderio d’evasione dei personaggi, nonché espliciti riferimenti al Movimento bolognese del ’77.
In questa sede mi propongo di riprendere il confronto già stabilito dalla critica, ma individuando nel
corpo l’elemento centrale della comparazione: un tema, questo, che mi è parso poco utilizzato per la lettura
comparata delle due opere, a dispetto della vasta attenzione rivolta ad altri elementi di vicinanza o di
discrimine quale, ad esempio, la visone politica di cui le opere si fanno portatrici. (qui il testo completo)

TRENT’ANNI DOPO RAGAZZI DI PIAZZA. CHE COSA RESTA DEL SALENTO DI PIER VITTORIO TONDELLI. Quarta parte/Tricase. Una nuova alba

«Andate, ma non lo troverete. Un palazzo a due piani, un lungo balcone, una saracinesca. Sembra una casa privata: lo è. Forse solo il numero civico è lo stesso».

No, in via Spallanzani, a Tricase, neanche il civico è sopravvissuto alla stagione del Tam Tam. Era il 13, ora è il 33. La nostra spedizione a ritroso lungo la storia vertebrale di un decennio si avviluppa su se stessa in giri a vuoto. In via Spallanzani, a Tricase, il silenzio più certo avvolge la notte. Agglomerati ben piantati in terra riposano di un sonno domestico, pesante, nella tranquillità del paese, nella periferia della notte. Continua